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Capitolo Terzo
Dopo avere
recuperato un po’ del sonno perduto, una doccia refrigerante e una buona colazione
l’avvocato Luisa Levi, vestita come si conviene a chi si accinga a simili
visite, si trovava in viaggio sulla strada statale 130, diretta al nuovo
Carcere Circondariale di Uta.
Anche se il personale della Polizia Penitenziaria, che
era lo stesso del vecchio carcere di Buon Cammino, ormai dismesso, la conosceva
bene, dovette assoggettarsi alla
consueta routine cui erano sottoposti gli avvocati (ben più snella e meno
estenuante di quella dei parenti): declinazione delle generalità del
recluso da assistere, consegna del badge
di ammissione, cellulari e macchine fotografiche nel cassetto con chiave e
consueta raccomandazione, ormai superflua, dopo anni di colloqui, di non
lasciare penne o altri oggetti appuntiti ai carcerati (la penna, pur non
essendo di per sé più pericolosa di tanti altri oggetti, era però suscettibile di una banale
dimenticanza rispetto ad altri oggetti pericolosi e di uso meno comune).
La sua attesa fu
breve. Anche il suo cliente non doveva aver dormito a lungo, nella notte appena
trascorsa.
Aveva infatti
l’aria stanca di chi ha fatto le ore piccole e non ha avuto modo né di
sbarbarsi né di cambiarsi d’abito.
Gino Garau era un
uomo sui quarant’anni, di media statua e di complessione olivastra. Aveva
ancora una folta e nera capigliatura riccia, dove si cominciava ad
intravvedere qualche spruzzatina di
grigio. Teneva gli occhi bassi ma dava più l’impressione di un uomo rassegnato
piuttosto che di un colpevole.
Prima di andare a
letto, e dopo avere predisposto al computer il Modulo di Nomina, indispensabile
per formalizzare la sua posizione di avvocato difensore di fiducia, l’avvocato
Levi aveva fatto una ricerca negli archivi elettronici e sulle banche date a disposizione
del suo studio e della rete, scoprendo che il suo assistito era stato
condannato circa quindici anni prima a otto anni di reclusione per rapina a
mano armata (ma ne aveva scontato soltanto sei , in ragione della sua ottima
condotta) a danni della Biglietteria del Teatro dell’Opera Cagliaritano.
Obiettivo della
rapina pareva essere stato l’incasso della Prima della Stagione Operistica.
Il Garau era stato
inchiodato dalla testimonianza di una violinista che lo aveva riconosciuto
nonostante il suo travisamento. A incastrarlo erano stati in particolare alcuni
segni distintivi, confermati poi dall’ impiegata della biglietteria, che la violinista aveva colto
con insolita acutezza mentre, al momento dell’irruzione del malvivente, si
trovava presso la biglietteria per ritirare due biglietti che aveva prenotato
per certi suoi ospiti.
La violinista era
stata colpita in particolare dal colore degli occhi del rapinatore,
insolitamente diversi tra loro; uno
castano, l’altro verde, la malformazione del mignolo della mano sinistra
e un tatuaggio sul polso della stessa mano, che si era evidenziato nel momento
in cui il rapinatore aveva allungato la mano per prendere i soldi che la
bigliettaia, con mano tremante, gli porgeva. In carcere Gino Garau aveva
studiato e si era laureato in psicologia. Da molti anni lavorava come
assistente nella Comunità “El Ziggurat”, un centro sociale che si occupava del
recupero di tossicodipendenti, alcolisti ed ex carcerati.
Il fondatore Don
Costantino Sanna, sacerdote e psicologo,
era convinto che chiunque potesse essere restituito alla vita, anche se non
tutti erano disposti a farsi recuperare.
Gino Garau era la
dimostrazione lampante di come gli ideali di un prete sognatore potessero
realizzarsi.
Dopo avere
sottoscritto la sua nomina, trasformandola da difensore d’ufficio a difensore
di fiducia, Gino Garau raccontò all’avvocato Levi la sua versione dei fatti. La
sera prima si era recato al Poetto per la solita passeggiata notturna col suo
cane, un pastore tedesco di nome Tex; a un certo punto si erano imbattuti in un
cadavere, in un tratto di spiaggia a ridosso del vecchio Quadrivio, che lei
sicuramente conosceva; aveva pensato che fosse il suo dovere chiamare il 112.
In seguito la
sfortuna aveva voluto che ad accorrere per il sopralluogo fosse un certo
maresciallo Camboni, lo stesso che una quindicina d’ anni prima, quando era
ancora brigadiere, lo aveva arrestato per una vecchia storia, per la quale
aveva già saldato il conto alla giustizia.
Lo stesso Camboni,
riconosciutolo tra la folla di curiosi, lo aveva poi sottoposto a fermo,
tramutatosi poi in arresto per volontà del procuratore della repubblica.
-
«Dottor
Garau, mi dica la verità, senza offendersi per la domanda e considerando
l’assoluto segreto professionale che mi vincola all’incarico che lei mi
-
ha appena conferito: è stato lei ad uccidere
la signora Daniela Georgimirescu?»
-
«
No, avvocato. Se lo avessi fatto non avrei mai chiamato la pula e meno che mai
mi sarei trattenuto in zona col mio
cane.»
-
«
Lei mi conferma quello che io ho già intuito. La ricostruzione fatta dalla
Procura e dai Carabinieri non mi ha convinto molto sin dal primo momento e dopo
aver parlato con lei mi convince anche meno!»
-
«
La ringrazio avvocato. Comunque anche la ricostruzione fatta dal quotidiano
‘L’Opinione’ è alquanto fantasiosa.»
-
«
Di quella non faccia alcun conto. Nel dibattimento, semmai ci arrivassimo,
perché io conto di smontare anche prima questo castello di sabbia che hanno
messo in piedi, gli articoli dell’Opinione contano quanto il due di picche,
quando la briscola è a denari!»
Gino
Garau si fece scappare un mezzo sorriso. Nessuno si aspettava che una donna
conoscesse la briscola.
-
«Dov’è il suo cane adesso?» – gli chiese
l’avvocato restando seria.
-
«
Ho pregato i Carabinieri che lo portassero a Settimo San Pietro, nella Comunità
‘El Ziguratt’ e che lo affidassero a don Costantino. Io lavoro e vivo là da
quando ho lasciato il carcere, l’altra volta».
L’avvocato
notò una nota particolarmente dolente nella voce di Gino Garau.
-
«Contatti
don Costantino appena possibile e si assicuri per favore che il mio Tex sia con
lui. E lo rassicuri anche sulla mia buona fede e sulla mia innocenza. Lui e il
mio cane sono tutto ciò mi rimane. In particolare don Costantino mi ha
restituito la dignità, un lavoro e la voglia di vivere in un momento in cui ero
davvero solo, senza più genitori, né affetti e senza più amici.»
-
«Non
dubiti. Questo pomeriggio stesso, dopo che avrò finito i miei incombenti in
Procura, mi recherò da lui. Ci rivedremo presto per l’interrogatorio di
garanzia. Le suggerisco sin d’ora di avvalersi della facoltà di non rispondere,
almeno sino a quando non si sarà svolta l’autopsia. Poi ne riparleremo e
studieremo insieme la migliore strategia».



