sabato 10 dicembre 2022

La Terza via - 51

 

 

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Capitolo 12 

Quel fine settimana Michele volle andare a vendere  i suoi articoli a Porta Portese. Mi spiegò che in quel mercato c’erano due tipi di espositori: quelli autorizzati dal comune, che avevano un posto fisso per il quale versavano una tassa contenuta; e quelli liberi (ma lui non usò mai il termine “abusivi”),  che si mettevano in fondo, dove capitava. Il segreto era di non occupare gli spazi degli autorizzati; per il resto c’era tolleranza e convivenza, da parte di tutti.

A mezza mattina capitarono, tra i numerosi visitatori, due ragazze; una delle due, la biondina, mentre l’altra osservava distrattamente gli articoli esposti sul tappeto, cercò con gli occhi i venditori. Michele, sembrò sorpreso, nel vederla. Fu lei a parlare per prima, dopo un po’ che si erano osservati, sorpresi e paralizzati dall’emozione di quell’inatteso incontro.

«Ciao! Non sapevo che venissi anche qui, a Porta Portese.» esclamò, salutandolo affettuosamente.

Michele contraccambiò il saluto. Mi parve in imbarazzo. Furono fatte le presentazioni. Lei aveva portato la sua amica, la brunetta, di passaggio a Roma, a fare un giro al mercato più famoso di Roma.

 L’amica si chiamava Marta, ed era di Imola, mi pare; il suo viso ricordava quello di un’attrice, con quegli occhi verdi e il colorito olivastro, aveva una voce roca, sensuale, che aggiungeva  alla persona un certo fascino.

Anche la biondina, Rosalba,  non era male. Aveva un’aria così romana! Non saprei dire esattamente che cosa; forse era il sorriso, irriverente e affascinante; forse gli occhi scuri, profondi; o magari la voce, con quella parlata dalle sillabe tronche e quei modi di dire che ti fanno credere che roma sia il centro del mondo; e quando sei lì, a Roma, tutto il resto scompare; l’America diviene soltanto un avamposto dell’Europa, una succursale; e Londra ritorna Londinium, un piccolo villaggio oltre le Gallie, da civilizzare.

Dopo i convenevoli, cadde il silenzio, come un velo. Si capiva che c’era qualcosa in sospeso tra Michele e la biondina.

lunedì 10 ottobre 2022

Avventura Fantozziana



 Recentemente la nostra nuova automobile ha presentato dei difetti di fabbrica. La Concessionaria, bontà sua, mi ha concesso l'auto sostitutiva. Mia moglie, quando l'ha vista, si è subito lamentata:

 "Ecco che ci hanno rifilato  la solita auto scadente, obsoleta, uno scarto su quattro ruote, rifiutata da tutti, fuori mercato". 

Io ero troppo arrabbiato per i difetti palesati dalla nostra auto per degnare quest'auto di qualche considerazione. 

" E soprattutto", ha aggiunto mia moglie completando la sua protesta  "è un'auto senza le portiere posteriori. Io odio queste auto. Ti ricordi che ne abbiamo cambiata una proprio perchè aveva soltanto le  portiere anteriori e quella del cofano?" Io mi ricordavo bene perché quell'auto l'avevamo appena finita di pagare, era nuovissima e non ero d'accordo a versarla per comprarne un'altra. Me lo ricordo al punto che al solo sentire la marca e il modello di quell'auto mi assale un disagio e un'avversione che me la fanno letteralmente detestare.

La sera andiamo all'aeroporto a prendere nostra figlia. Già al mattino, dopo fatta la spesa, ho tentato di sollevare il sedile del passaggero per sistemare la roba dietro, senza riuscirci. Ho tentato anche dal lato del guidatore. Niente da fare. Prima di perdere la pazienza mi sono detto che forse il cofano era abbastanza capace da ospitare la mia spesa. Ma all'aeroporto mi sono incapponito. Mia figlia doveva sedersi dietro e il sedile doveva sollevarsi per forza. Non si sollevava forse il sedile delle vecchie cinquecento? E quando le automobili erano tutte a tre porte (anzi, ai miei tempi si diceva a due portiere, senzo considerare la portiera del cofano, che secondo me continua a essere uno sportellone e non una portiera; ma il commercio, si sa, ha le sue leggi ferree). 

Prova e riprova, giuro che stavo per divellere le parti in plastica, dalla rabbia e dalla frustrazione di questi sedili che non volevano saperne di sollevarsi per cvonsentire a mia figlia l'accesso al sedile posteriore. Senza contare che in aeroporto,  inostri illuminati amministratori, hanno pensato bene di darci dieci minuti di aria e libertà a disposizione, scaduti i quali, se non hai un sacchetto di monete sonanti, non puoi uscire dall'aeroporto. E io non avevo ne monete ne banconote appresso.

Per fortuna mia figlia è abbastanza agile e quando mi ha visto adirato er rosso in viso ha saltato il sedile come un capriolo e si è accomadata dietro.

Quando siamo arrivati a casa ho visto mia figlia sbucare fuori dall'automobile dopo avere aperto dall'interno una invisibile portiera! Ci siamo fatti una grassa risata, dandoci dell'imbecille per non essercvi accorti che l'automobile era in realtà una cinque porte. Soltanto che quelle posteriori erano nascoste, cewlate dietro un disegno e una linea che non lasciavano intravvedere l'esistenza di maniglie o di qualunque tipo di apertura. 

La mia però era una risata amara. E non so se fossi più dispiaciuto con me stesso o contro  la signorina che ci ha consegnato l'auto, che si è trattenuta cinque minuti a dirci che l'automobile aveva il pieno della benzina  e dovevamo restituirla con il pieno ecc, ecc, ripetendoci per tre volte che l'auto aveva il pieno, che guardassimo bene la freccia  del serbatoio, tutta protesa alla destra, a fine corsa, in quanto essa segnava la presenza del pieno e non dovevamo prendere la cosa sottogamba, in quanto prima di restituirla,  saremmo dovuti passare dal benzianaio e ordinare il pieno, e riempire il serbatoio dell'auto  sino a quando la freccia non ritornava in quella identica posizione che adesso lei ci mostrava e noi dovevamo guardarla, convenendo con lei che sì, l'auto aveva effettivamente il pieno.

  Ma questa benedetta ragazza invece di stare lì a menarcela con questo cacchio di pieno non poteva dirci che l'auto era una cinque porte e aveva le portiere posteriore celate da maniglie invisibili?

Ma  infine conclusi che forse ero  ancora più adirato contro che ci ha venduto un'auto difettosa, obbligandoci a guidare un'auto sconosciuta, in sostituzione della nostra. 

Alla fine mi sono detto che mi ero comportato in maniera fantozziana. Ragionando con calma e con metodo avrei dovuto capire, alla mia età e con la mia esperienza, accorgermi che quella era un'auto a cinque porte!


martedì 27 settembre 2022

La Terza via -18

 

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Donato mi distolse con una pacca sulla spalla.

-         «Ce l’hai fatta a venire! Non startene qui tutto solo! Giampiero è di sopra ! Sarà contento di vederti. Ci sono anche altri amici!»

Gli sorrisi, grato che mi avesse levato dall’imbarazzo di quella mia solitaria postura. Mi disse di seguirlo in cucina e poi ci avviammo insieme per le scale che portavano al piano superiore.

Dal corridoio imboccammo l’ultima porta a destra.

-         «Guarda chi c’è!» – disse Donato entrando.

Tutti i presenti si voltarono verso di me salutandomi cordialmente. Nella stanza c’erano due coppie di letti a castello, uno a destra e l’altro sulla parete di sinistra. Io mi sedetti sul letto basso di sinistra. Giampiero lo notai soltanto dopo che mi ero seduto, quando si fece largo tra quelli che lo attorniavano, allungando il braccio verso di me, sporgendosi dalla branda di fronte alla mia, dove se ne stava comodamente disteso.

-         « Tieni, fuma!» – mi disse porgendomi  una sigaretta di anomale proporzioni. – « E’ roba forte e buona, come voi Sardi!»

Senza tentennare aspirai una rapida boccata come avevo visto fare alla ragazza di sotto, poco prima, e la  passai di seguito a Donato, che fece altrettanto.

Nessuno badava a me, nonostante l’ambiente fosse abbastanza piccolo. Mi distesi  nel letto, dopo essermi liberato delle scarpe. Lo spinello arrivò da me per il secondo giro. Pensai che fosse giusto comportarsi con discrezione, per cui diedi ancora una rapido tiro e lo feci girare.

Mi ritrovai a ridere e ripensandoci,  neppure oggi  saprei dire se la causa scatenante della mia risata improvvisa,  sia  stata la  discussione,  che probabilmente era già iniziata prima del mio arrivo,  oppure qualche mio recondito e personalissimo  pensiero.

Non me lo chiesi allora e non me lo chiesi neppure in occasione delle  numerose altre volte in cui ebbi l’opportunità di fumare della roba. Io fumavo e basta: erba giamaicana o thailandese, hashish marocchino o nero pachistano, o qualunque altra cosa passasse per il convento,  non aveva importanza per me.  Forse volevo soltanto dimenticare, come si fa a volte con il bere; forse volevo soltanto conoscere, senza sapere esattamente che cosa; o magari volevo soltanto sognare un mondo migliore, fatto di pace, di musica, di fratellanza.

Con la maturità di oggi, dopo avere smesso di fumare ormai da decenni, sono portato a pensare che gli effetti del fumo, come d’altronde quelli dell’alcool o di qualsiasi altra sostanza che alteri la percezione della realtà, siano diversi da persona a persona.

Su ciascuno di noi il fumo agisce diversamente e questo lo affermo per esperienza personale.  Ho fumato con un sacco di gente. In una certa misura posso anche affermare che ci sono degli effetti comuni: tu ti accorgi di entrare in empatia con quelli che fumano con te, mentre ti accorgi se qualcuno invece non ha fumato, oppure se il fumo su di lui non ha fatto effetto. E’ una cosa che senti e che non sai spiegare.

giovedì 22 settembre 2022

La Terza via - 16 -

 

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Capitolo 6

 

Un giorno, mentre ci preparavamo  una pizza per la nostra pausa pranzo, Donato   mi disse che stava raccogliendo dei soldi per fare un regalo a Giampiero, di cui a breve sarebbe ricorso il genetliaco. Risposi che avrei partecipato ben volentieri e soltanto doveva dirmi che cifra dovessi versare per partecipare al regalo. Prima di rispondermi mi disse che la sua idea era di regalargli un pezzo di hashish,  per il quale Giampiero andava matto. Io non feci commenti anche se ricordo che pensai “Contento lui!”  Dissi che per me non c’erano problemi. Lui si limitò ad aggiungere che il fumo lo avrebbe comprato da Natale, grande fumatore ed esperto e che Giampiero mi aveva  invitato alla festa di compleanno che avrebbe dato sabato sera a casa sua. Venerdì sera, prima di smontare dal lavoro,  gli chiesi quanto gli dovessi dare. Donato mi rispose che Natale non aveva voluto soldi per un tocco di hashish che aveva voluto procurare gratuitamente,  come sua personale partecipazione al regalo di Giampiero. Mi scrisse l’indirizzo di Giampiero in un


foglietto, raccomandandomi di non mancare.

sabato 27 agosto 2022

La Terza via - 11





Capitolo 11

L’indomani mattina, quando mi svegliai, trovai Michele in cucina che armeggiava con la macchinetta del caffè.

Dopo il caffè gli dissi che prima di andar via avrei voluto aiutarlo a ripulire la casa. In effetti c’era un gran casino dappertutto.

L’idea gli piacque e lavorammo sodo per un paio d’ore.

«Simona sarà contenta, quando torna!» disse, a un certo punto, sedendosi per riposare e accendendosi una sigaretta, tutto soddisfatto.

«Rientrerà per pranzo?» gli chiesi accettando la sigaretta che mi offriva e sedendomi a fumare anch’io.

«No, il venerdì fa orario continuato in agenzia e mangia fuori» rispose Michele. «Che ne dici di una pastasciutta per pranzo?» continuò levandosi in piedi.

Non sapevo se accettare. Avevo paura di disturbare. Forse pensavo a quel detto che ripeteva spesso il mio vecchio ridendo: “L’ospite è come il pesce; dopo ventiquattrore puzza!”. Io ero lì, lì, per compiere un giorno intero. Pensai che magari Simona non sarebbe stata d’accordo.

«Dai, non vorrai farmi pranzare da solo?»

La sua offerta fu così genuina che mi parve scortese rifiutare.

«Permettimi però di andare a comprare qualcosa al supermarket.»

Non voleva, ma dovette accettare la mia condizione, perché capì che senza di quella me ne sarei andato sul serio.

Quando tornai col vino, la frutta e del formaggio stava già scolando la pasta. Aveva improvvisato una carbonara niente male, il buon Michele.

«Mi piace cucinare. Con Simona che mangia spesso fuori mi son dovuto abituare. E adesso lo faccio con piacere.»

Dopo pranzo mi portò nel laboratorio dove confezionava i suoi articoli di pelletteria. Ne aveva parecchi; tutti pezzi unici; avevano un non so di che di robusto, di antico e di artistico allo stesso tempo; pur nella loro estrema essenzialità. Si mise a riempire dei borsoni.

«Domani devo esporre alla Festa de Noantri! Mi fai compagnia? Così mi aiuti anche a portare la merce. Sabato sarò da solo!»

«Simona non viene con te?»

«Magari la domenica. Il sabato lei lavora, soprattutto in questo periodo.»

«Pensi che a Simona faccia piacere?»

«Se sa che mi aiuti alla festa, figurati! Lei è molto protettiva; si sentirebbe sicuramente più tranquilla!» disse con entusiasmo, immaginando dalla mia domanda che io volessi accettare la sua proposta. In effetti l’idea non mi dispiaceva. Fra i miei progetti mai realizzati c’era stato , un tempo, quello di vendere per strada degli oggetti confezionati da me. Come faceva Michele, senza impegno, giusto per campare la giornata. Magari io avevo pensato a dei braccialetti, degli anellini o delle collanine in metallo. Però era l’artigianato in generale che mi piaceva. Mia nonna materna raccontava sempre, con orgoglio e vanto, di avere ritrovato in un ripostiglio, i giocattoli in legno che mi ero costruito da me, un’estate che avevo trascorso a casa sua.

Il sabato notte, quando rientrammo dalla festa, Simona ci aspettava. Lei aveva già cenato ma ci aveva lasciato qualcosa in caldo. Mentre cenavamo Michele le raccontò con entusiasmo di come ero stato abile nel condurre numerose trattative con i turisti di diverse nazionalità e di come avevo convinto una riccona libica, ad acquistare un porta gioie per centocinquantamila lire! Io cercai di sminuire i suoi racconti ma il suo entusiasmo era alle stelle. Lessi negli occhi di Simona una nota di riconoscenza. Era contenta di vedere suo fratello così contento.

Il lunedì successivo si mise a lavorare in laboratorio di buona lena.

Le vendite del fine settimana lo avevano gasato. C’erano altre feste e altre fiere in estate e lui voleva approfittarne per farsi un po’ di soldi.

La sera Simona insisté per accompagnarmi in macchina sino a Bracciano, a casa di un amico, dove avevo lasciato i miei bagagli. Michele preferì stare a lavorare e promise che ci avrebbe preparato la cena.

Simona durante il viaggio mi disse che il mio arrivo aveva migliorato l’umore di suo fratello.

« Non ho fatto niente di speciale» le dissi sminuendo il mio ruolo. In effetti non sentivo di aver fatto niente di speciale. Ero stato soltanto me stesso, con semplicità e sincerità.

Indossava una gonna lunga, di quelle che si usavano in quegli anni, in certi ambienti, con i bottoni sino alle caviglie, che però, abbottonata soltanto nella parte superiore, adesso le lasciava scoperta una bella porzione delle belle gambe bianche. Per non fissarmi in quella direzione le chiesi qualcosa di lei, cercando di guardare il bel paesaggio che fuori si snodava a fianco del finestrino della sua piccola due cavalli.

Non si può dire che fosse una grande chiacchierona. O forse ero io, quello che doveva parlare; almeno quella sera. Infatti, dopo un po’ mi fece una domanda. Mi suonò come se tutto quello che ci eravamo detti prima, fosse stato soltanto un prologo, una sorta di riscaldamento preparatorio.

«Mi ha detto che Michele che sei un amico di Donato Catinari».

«Sì. Ci siamo conosciuti a Londra, un paio d’anni fa. Di passaggio qui a Roma, mi è venuto il desiderio di passare a salutarlo…»

«Davvero? E che facevate a Londra?»

«L’ultima volta che l’ho visto a Londra, vendeva degli specchi a Carnaby Street. Ma sapevo che aveva deciso di rientrare in Italia. Un amico comune, un certo Giampiero, più tardi mi confermò che aveva lasciato la sua ragazza e ogni altra cosa, per tornarsene a Roma.»

Forse aspettava che io continuassi, ma in realtà avevo già finito quello che dovevo dire.

«E’ anche amico tuo, Donato?» , le chiesi a mia volta.

«No, no!» - si affrettò a rispondere- «So molto poco di lui. Esattamente quel poco che mi ha saputo dire Michele. A quanto pare è più un amico di amici. Neanche mio fratello sembra sapere esattamente di cosa si occupi.»

Colsi nella sua voce un accento di ansia, come se fosse preoccupata per qualcosa. Quasi mi avesse letto nel pensiero aggiunse, subito dopo.

«Da quando sono morti i nostri genitori, ho cercato di proteggerlo, come ho potuto. Il mondo è pieno di pericoli; e lui ha risentito più di me della loro morte; è sempre stato un ragazzo molto sensibile…»

«Ti preoccupa il fatto che fumi?» le chiesi, sentendomi in colpa, per l’apprensione di quella sorella materna.»

«Magari fosse il per il fumo! Ma ti pare? » scappò detto, ridendo di gusto, a Simona.

Quella risata sembrò liberarci da dei discorsi che non avevano avuto, a parer mio, un flusso troppo naturale; e neanche scorrevole.

Io mi sentii più tranquillo per il fatto che Simona non si fosse mostrata ostile al fumo. Mi piaceva fumare, ma capivo che per certe persone potesse costituire un problema avere a che fare con quella roba. Non era, di tutta evidenza, il caso di Simona. Doveva esserci sotto dell’altro, ma lei preferì lascia cadere il discorso.

Al ritorno, recuperati i miei bagagli, ascoltammo in silenzio la musica della radio.

Io capii che Simona voleva stare in silenzio. Anche a me piaceva quel silenzio, che permetteva ai nostri pensieri di fluttuare nell’aria, senza scontrarsi, come invece succede quando si discorre, spesso a causa di fraintendimenti, o di pensieri espressi in maniera oscura; o magari troppo chiaramente.

Michele era stato di parola. La cena che aveva preparato fu gradevole. Anche Simona mi sembrò più rilassata. Dopo cena Michele ci mostrò le sue ultime creazioni. Stemmo fuori, nel giardino a parlare e a fumare a lungo. Simona fu la prima a ritirarsi. Quando venne a darci la buonanotte mi disse che mi aveva preparato il divano (che io disfacevo ogni mattina, piegando le lenzuola e riponendole, con il cuscino, sulla seduta) per la notte.

Era la prima volta che mi usava quella cortesia. Michele la ringraziò da parte mia, ma lei rispose al mio sguardo di riconoscenza con un’espressione enigmatica, che poteva voler dire tutto e il contrario di tutto.

lunedì 8 agosto 2022

Profeti, politici e cialtroni




Recentemente ho rivisto in TV il concerto "La notte di Vasco".
Ho ripensato ai concerti ai quali in passato ho preso parte in prima persona. 
Mi sono rivisto in mezzo alla folla oceanica, con le mani al cielo, cantando a squarciagola, ballando e muovendo la testa e il corpo a suon di musica.
Non si vivono quattro decenni di successo per caso. Vasco ha incarnato i sogni e il malessere di più di una generazione. Certo il suo successo è da attribuire anche ai grandi musicisti che lo accompagnano sul palco.
Ma i suoi musicisti veicolano sulle splendide note di chitarre, ottoni, tastiere e percussioni i testi che incarnano i sogni e le fantasie dei giovani di ieri e di oggi. Che poi sono i sogni di coloro che ritrovano se stessi più nei riff di un chitarrista e negli assolo di un clarinetto che in un mondo incapace di trasmettere emozioni.
Una fuga dalle banalità di un mondo materialista, fondato sul consumismo, che ha perso nella massificazione delle menti, delle notizie e delle vite votate alla produzione e al consumo, in nome del dio quattrino e di Giove PIL, ogni sensibilità spirituale.
E l'uomo senza spirito non sa vivere, sente che gli manca qualcosa; qualcosa che egli recupera in quei versi strazianti che parlano di libertà, di solitudine, di uno straniamento che è anche e soprattutto ribellione a ogni consuetudine e perbenismo.
Qualcuno un giorno ha detto che non si vive di solo pane.
Se a qualcuno non piace Vasco Rossi dovrebbe ricordarsi che senza spirito si vive male e si cade inevitabilmente prigionieri di profeti e duci che non sempre guidano al bene.
Ma chi l'ha detto che ai nostri politici e ai governi del mondo interessi il benessere spirituale dei cittadini?
Abbandonare il materialismo in nome dei veri profeti comporterebbe rinunciare al potere dei soldi e delle poltrone facili. 
Meglio aggrapparsi alla materia e al potere lasciando che i sudditi governati sfoghino il loro bisogno spirituale appresso ai profeti fasulli di turno, magari affogati in qualche sorta di sostanza che li alteri un po' sino a dimenticare, almeno per una sera, la fatica di vivere una vita senza senso e senza valori.
Ma è meglio seguire un profeta, ancorché cialtrone, oppure un duce ancora più cialtrone?
Se fossi giovane non avrei dubbi: sceglierei un profeta cialtrone.
E fra i profeti cialtroni che questa moribonda democrazia ci consente di ascoltare, credo che Vasco Rossi non sia certo il peggiore.

sabato 6 agosto 2022

Meglio Tex Willer o Perry Mason?

 


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Capitolo Secondo

 

Il lunedì successivo era festa nazionale, ma sui giornali la vicenda dell’assassinio con il coltello in mano aveva continuato a spiccare tra i titoli in evidenza. Continuava a suscitare clamore e interesse una vicenda che aveva visto soccombere una signora anziana per mano di un suo giovane nipote. Tra i lettori dell’Opinione, soprattutto, si contavano numerose le persone anziane assistite da parenti più giovani oppure da personale esterno. A tenere viva la notizia era stata l’emittente Selen TV, che faceva da traino alla versione cartacea del quotidiano, con numerosi e frequenti dibattiti televisivi, ai quali venivano invitati cittadini comuni ed esperti di varia provenienza.

Anche il secondo lunedì del mese il fattaccio del coltello insanguinato teneva banco. Il commissario De Candia trovò il bar di Tonio ancora in grande subbuglio.

«Ha visto dottore le ultime sul caso dell’assassino con il coltello in mano?» gli disse Tonio accennando al giornale che aveva appena aperto, mentre gli portava la colazione, calda e fumante.

Il commissario andò a leggere le pagine interne della cronaca e a momenti gli andava di traverso il boccone di croissant che aveva appena addentato.

Una foto dell’avvocato Levi capeggiava a centro pagina.


La notizia eclatante era che l’assassino con il coltello in mano era stato scarcerato dal Tribunale della Libertà del capoluogo, su ricorso dell’avv. Luisa Levi.

La donna era una vecchia conoscenza del commissario, vedovo da tempo, che l’aveva incrociata



all’inizio per motivi professionali, in occasione di altre indagini per casi di omicidio.

Le loro opposte posizioni investigative, lui dalla parte del delegato per le indagini della procura, lei come avvocato difensore dell’indagato, non avevano impedito la nascita di  una reciproca stima, dalla quale era poi scaturita una discreta relazione alla quale nessuno dei due aveva voluto attribuire un nome, ma che sembrava incardinarsi in qualcosa di più di una sequela, apparentemente occasionale ed episodica, di incontri connotati da una forte e reciproca passionalità.

Poi quel flusso empatico si era bruscamente interrotto. Senza una ragione apparente, gli era sembrato che lei non volesse più farsi trovare. O forse era stato lui che non l’aveva cercata abbastanza.

Qualcosa era però rimasto in sospeso, inespresso, involuto, almeno nell’animo del commissario. Quel qualcosa che, assopito e sotto traccia, si era risvegliato all’improvviso, di fronte a quella fotografia sul giornale.

Quella donna era davvero un diavolo in gonnella, pensò il commissario.

Come aveva fatto ad ottenere la scarcerazione dell’assassino con il coltello insanguinato in mano?

Gli avventori del bar di Tonio sembravano scatenati.

«Com’era possibile? »

«Ma dove arriveremo, se si liberavano perfino gli assassini colti in flagranza di reato? »

«Possibile che la giustizia abbia reso le armi di fronte alla delinquenza? »

«L’Italia è ormai un paese senza speranza.»

Il commissario uscì dal bar con un senso di liberazione. Un altro po’ e ci sarebbe stata, ne era certo,  l’immancabile invocazione all’Uomo Forte. Il Risolutore, un uomo soltanto al comando, capace di raddrizzare le storture di una democrazia fasulla e, magari, di fare arrivare i treni in orario!

martedì 19 luglio 2022

Recuerdos de un Italiano en Londres - 20

 

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Otros vendedores callejeros que conocí en Londres eran "los vendedores de espejos". Excepto por unos pocos separados en algunos lugares aislados, los vendedores de espejos se encontraban en su mayoría en una estrecha red de carreteras alrededor de la famosa Carnaby Street, el verdadero centro comercial del turista de Londres y que continuaba desde la épica de los Beatles.

Un poco ya deteriorado, pero sigue siendo una gran atracción en la segunda mitad de los años setenta. Toda la gama de los símbolos del consumidor y la nueva mitología occidental, que también se puede encontrar en las camisetas vendidas como recuerdos en las muchas tiendas que ocuparon el camino corto, el reino de las compras turísticas baratas y rápidas, junto con los símbolos de Londres, se reprodujeron en espejos de diferentes formados y vendidos en la calle frente a esas tiendas, que también constituían su tienda y almacén.


De Marylin Monroe a Humphrey Bogart; de Gin Beef Heart a Coca Cola; desde los estilizados modelos Liberty hasta Union Jack, pasando por las irlandesas whisky


escocés, bandas de rock e incluso la familia real, todo se reprodujo en esos espejos de colores, suavemente enmarcados y vendidos desde un mínimo de 99 peniques hasta un


máximo de £ 20 dependiendo en su tamaño y en la billetera y el equipaje del comprador.



Los vendedores de espejos de esta área eran casi todos italianos o españoles.

Jóvenes que habían venido a Londres para estudiar inglés y conocer la ciudad. O que se habian escapado del clima económico y político de reflujo y, en cualquier caso, atraìdos por la gran fascinación que la capital de la música Rock ejerce todavía sobre los jóvenes de esa Europa más pobre y que buscaban, junto con una mayor libertad, una trabajo que les permitia vivir de una manera decente, confiando solo en su fuerza y sin pesar sobre la familia.

 

 

lunedì 18 luglio 2022

Quante Penelope aspettano speranzose, ancora oggi, l’arrivo dell’amato nei porti del Mediterraneo?

 


Come tutti i miti anche quello di Penelope si evolve nel tempo. E di strada ne ha fatto, la moglie di Ulisse, dalla lettera che le dedicò Ovidio e dalle pagine in cui Omero l’ha immortalata, narrando le gesta del suo sposo Odisseo.

L’attrice Viviana  Bovino (anche autrice del testo e coreografa) e il regista Gregorio Amicuzi, sotto il cielo stellato del Nuraghe Arrubiu, nell’ambito della XIV Rassegna NurarcheoFestival ( organizzata dal Crogiuolo di Rita Atzeri) ne hanno proposto, ieri, 17 luglio 2022,  una rivisitazione in uno spettacolo di teatro-danza che si sviluppa, quantomeno,  su due distinti livelli.

Il primo è quello classico, della ricerca  spasmodica d’un amore impossibile, dell’attesa di un ritorno, tra dubbi e speranze, dell’assedio di amori alternativi non voluti, forse proprio perché concreti e possibili (una discrasia che ci è stata restituita, in tempi più recenti, perfino dal poeta maledetto, o da chi per lui, nella poesia “Ed io ti penso ma non ti cerco”, dove lo iato tra il pensiero amoroso  e l’azione conseguente, si strugge di nuove,  impossibili passioni, cristallizzandole nell’Olimpo degli amori da idealizzare, immortali perché astratti e irrealizzabili, come quello di  Tristano e Isotta, Euridice e Orfeo, Giuletta e Romeo).

Il secondo livello è quello che fa rivivere Penelope nelle tante donne che, forse avvolte nei veli, crescono da sole i loro Telemaco, figli di uomini avventurosi che spinti dal bisogno e dal desiderio di una vita migliore, vengono però inghiottiti dal mostro marino, quel mar mediterraneo, dove, più o meno tremila  anni fa, degli dèi capricciosi giocavano con i desideri  di Ulisse che, non essendo mai voluto partire per la guerra, cercava, in fondo, una vita normale, accanto a sua moglie e a suo figlio; quello stesso desiderio, quindi, che ha spinto tanti diseredati del mondo variegato che si affaccia ancora oggi sul  Mediterraneo, a imbarcarsi alla ricerca di una vita normale, con la speranza di essere raggiunti,  un domani, dalle proprie donne. Quelle donne che il teatro danza di Viviana Bovino, sotto le stelle brillanti del Nuraghe Arrubiu di Orroli, ha impersonato nei suoi volteggi drappeggiati di azzurro.

Ricerca e sogni resi vani dai porti chiusi, quando la furia del mare impetuoso, non li abbia invece già spezzati e ighiottiti nei flutti degli abissi marini.

Sogna Penelope, nei tuoi azzurri veli; sogna l’approdo del tuo amato nei porti degli impossibili amori.

venerdì 15 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-14

 

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Così dicendo si mise a esaminare ciò che Santiago aveva estratto dal cassetto.  Nel frattempo il commissario rovistò negli altri cassetti del comò.

«A meno che…» disse Luisa mano a mano che si rendeva conto che la sua cernita e quella del commissario non avrebbero sortito alcun risultato.

«A meno che non se la sia portata via l’assassino!» completò il commissario, anticipandola.

«Quello vero!» precisò l’avvocato. Nel suo viso, adesso, l’incredulità aveva lasciato il posto a una certa soddisfazione. Alla sua tesi stavano arrivando conferme, scagionando definitivamente, se ancora ce ne fosse stato bisogno, il suo assistito anche agli occhi del commissario

«Per scrupolo io cercherei meglio. Magari la chiave è stata riposta dalla stessa vittima in un altro posto…magari anche nella tasca di una vestaglia. Che ne dici di rovistare insieme tutto l’appartamento?»

«Dico che va bene! Ma chissà perché io penso che non troveremo niente!»

Dopo un’ora abbondante la loro ricerca certosina non aveva dato alcun esito. L’intuito dell’avvocato aveva visto giusto. Qualcuno aveva preso la chiave della cassaforte, portando via anche tutto il contenuto, oltre la carta del bancomat e i soldi. E questo qualcuno poteva essere soltanto il fantomatico assassino senza volto.

«Ma come avrà fatto?» chiese Luisa come interrogando se stessa. «C’erano i Carabinieri, qui, in casa. Possibile che l’assassino avesse già svuotato la cassaforte quando sono arrivati i Carabinieri? E se aveva già svuotato la cassaforte cosa faceva lì in cucina, dove è stato trovato il corpo della signora Emma?»

«Vieni, andiamo su in mansarda. Io un’idea ce l’avrei!» disse il commissario avviandosi verso la ripida scala in legno che portava in mansarda.

giovedì 14 luglio 2022

The real story of Patrick Winningoes-12


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The past Monday, the 12th November 1979, it was very early when Mr. Winningoes had come to pick us up at home, meaning that the results of the analyses had fully satisfied him in that week end.


George and I had spoken of the events of the preceding Friday for a long time.  We tried particularly to guess what kind of job would eventually have to begin, since Mr. Winningoes had not mentioned it at all. For how much we spoke of it, however, we didn't succeed in finding a satisfactory explanation.  The most probable prognostications seemed to lead us at jobs like: cook, waiter, butcher or grocer generally; and either assistant of infancy or geriatric. But the most probable reasons were also met with some element of illogical meanings.

 

George, briefly, suggested that the strange man had to be either crazy or, at least, a sort of an eccentric and sclerotic subject. Between parenthesis he made me observing, to retry his own theory, that Mr Winningoes had not even mentioned the job related with Mr Joking and though he had told us that his agency was entrusted for getting manpower to the enterprise. I returned that it would have been up to us to tell him we were sent by Mr Joking and if we had not done it, for distrust or for our own comfort, could not complain of it. I didn't really complain of it because I was sure that I could never get an advance of 100 pounds from any other employer in the world.


He returned beating me point by point. With particular respect to the money got as advance, he sustained that those banknotes must have been either false or fruit of sinister business. Neither I could change his mind on the point, the fact that I easily succeeded on changing all my banknotes, in five different occasions. I was sure of my opinion. I had already had on my hands some false banknotes and I knew well, more than one way, to identify them.


 

The notes that nice fellow of Winningoes had given to us were good. They were fresh of bank, because I had realized that they had never circulated before, and rustled and played to gold as they say. If that man was so eccentric (and so rich) to be amused by paying advances to poor, foreign, jobless men, well, good for me that, by the way, I was enumerated between those poor chaps.

And, finally, if George, had also to be right and that man was crazy, in that case,  he would not be certain the first one, in London.

 

Mr Winningoes hadn't rung the bell, but he beat at one of the big windows of the room. As he could have known, at that time, that those were the windows of the room we occupied in the house, I wondered only more afterwards.  That morning, we were so much in excitement, that I only worried about to wake George and prepare me in my best hurry. We were finally going to begin our work. And with perspectives of significant and easy earnings. To the devil George’s pessimism and fears!

 

On the other side of the road we immediately noticed a green van, where our new employer, impatiently, drummed God only knows what rhythm, with the long and thin fingers. His look was fixed on nothingness and perhaps he was following his more intimate thoughts. He didn't notice us, in fact, until I reached the opposite guide’s side beating him slightly on the glass. He got shaken by that and lengthened with agility to open us the door. Outside it was prickly cold and was the only sign of the early time, since the sky, as in the previous days, was a grey, homogeneous cover of clouds that only the night would have obstructed to our eyes keeping the city under an opaque and thick grey light, rather similar to those days when the sky, in the Mediterranean countries, announces the rain in the winter time.

 

-« Hello! Is it everything all right?» - Mr Winningoes began happily as soon as we had taken seat in the van. He didn't seem to expect any answer while turning the starting key, may be getting back at the thoughts brusquely interrupted a little before.


- «Good morning»– we both answered.


-«You can put it behind» – he told me, pointing out with the finger my white-green trip bag I had instead placed at my feet. I put it beyond the frontal seat. I wanted to do the same with  George’s bag but he had already fell asleep, reclined between the door and the seat with his bag on his womb.


-« There is a beautiful warm here inside »- I happily commented.


-«Yes, it is true» - he plainly responded; and immediately add with fatherly tone, after peering at George with the tail’s eye :”You did not make too late yesterday night, did you ?” -.

 

- «No, no, we didn’t » - I responded laughing. -« He is always very asleep, but only early in the morning»-.

 

In the meantime I noticed we had reached Edgware rd, suddenly  proceeding toward the Maida Vale street (the second is the continuation of the other in the northwest direction).

 

Then the van turned in to Shirland rd, after in to Elgin rd, emerging finally at the Harrow rd (an immense artery of London traffic that crosses the city from the important railway station of Paddington up to Wembley Park). As we had crossed this last road for a brief line, toward north, our guide promptly reversed the direction and, through a tangled net of roads and little streets, took the direction more and more toward southwest, passing for Notting Hill Gate, Holland Park rd, up to Hammersmith rd.

 

- “Where have you said we are going to?” - I asked pretending he had said something about.

 

-” To the south of the river Thames” - he answered vaguely. -” We will cross the river from the bridge of Chiswick, since Hammersmith’s is temporarily closed to traffic. You know the bridge of Hammersmith, don’t you?.”

 

- “' For sure!” - I exclaimed  – It’s a very nice bridge!!!'” -.

 

- “And also very old ,” – he added -” They are now restoring it “- concluded finally with indifferent tone.

 

Passed that we had to the south side of the river our van was  soon running along the huge Richmond Park, one of the big green bellows in London. The transit of men and vehicles was scarce, which meant that probably it was not eight o’clock yet. I recalled a vision I had one day, in the peak hours, when London workers return to their houses: I was upstairs,  in a double decker bus, and I imagined those numerous passers-by disappearing in to the Underground were swallowed by a voracious Minotaur.


That morning, instead, the red buses, with their mighty tonnage, almost seemed to fly in the empty roads still shrouded in the fog.

 

Before falling asleep, in front of my eyes, I could see a kaleidoscopic series of colored neon signs running each other: Barclays, Take Courage, Old Inn, Midlands, Guinness, Shovels Ale, Marks and Spencer, Lloyds, Tesco, becoming progressively confused with the buildings on which they were posted, forming some funny and unlikely architectural figures untied to the edges of a fast oil river, crossed by a phosphorescent wake, on whose trace, our green van seemed, rather, a winged hull.

As I woke up, I felt a diffused numbness all over my limbs. George was still sleeping, stretched to the van-door, with the hands on his bag, still in his womb. I felt, impelling, the need to stretch my legs.

 

- “Where are we?” – said George confused, opening his eyes, as I called him insistently.


- “ You sleep like a log! Let me go down, please.” -I counter said, pushing him gently outside.

 

I followed him, in his agile leap on the gravelly ground. There was a light perfumed breeze in the air. We were amazed by the surrounding space. The van had halted its march at the feet of a groove of cypresses, trough which boughs, on the left, we could see glimpses of a red bricks building, approached by a wind mew, that cut in two sides a wide and green lawn. It was from that direction that we saw Mr. Winningoes arriving.


- “Welcome to Heavengate” - He said coming to meet us.


He wore a celestial, very elegant suit. Only when I saw his dark sun glasses, I took notice of the long shades of the cypresses at our feet.


- “You will have time to admire the beauties of my park. Now be pleased to come with me. I will show the house and the immediate proximities to you. Then, after lunch, we will talk of business” -. This way saying we all soon moved through the same path he had come from, on the opposite direction.


His annotation about business brought me brusquely at  reality.


Coming up I asked him the place we were in, but he seemed not to hear my question.
I looked at George with interrogative air. Instead of answering,  he shrugged on his shoulders, as to mean: “I told you.”


After a long bend the little street sloped up straightly towards the building. Seen  frontally, it now appeared to be made of three parts. That central part, raised over three plans taller than  the lateral wings. Three high windows, one for each floor, accented its slender seize. On the top thin, triangulated laces, made it look like the bell tower of a middle-aged church. The lateral  sides departing from the centre, widened in perfect symmetry, such to give the building a solid and stately aspect. Three steps led to the ample atrium from the path. The two sides corridors were closed by bright glass door.


- «You can put your bags there, for the moment» - told us Mr Winningoes, pointing out two  wicker armchairs that towered the sides of the entry – "we will take first a quick look around the house.”

 

After a short while, the man led us outside that sort of long veranda which ran around the whole building, as we were going to discover. Some narrow, gravel driveways, consented to approach a wide spread garden, delimited, on the opposite side from a tall metallic net, wrapped densely by climbing greens.


From that colored sea a thousand scents of delight inebriated and gratified all my senses. It was as if they invited my mind to fly, decomposing each other in those endless tonalities, shattering in that surreal geometry on shapeless sights of beautiful colors. I heard our guide, lowered on some rare flower, explaining to George, who followed him with attention, its origins, by means of scientific, Latin definitions.

 

And again the desire to flow conquered me and I still immerged in that colored and flagrant sea, forgetful of every rational thought, free and fluid, in that magic world of impalpable stuff.
If only I had succeeded on abandoning myself, definitely on the wings of those feelings, would I have got lost in the space and in the endless time, or I would have been able to find again the way to come back? When I gathered from the ground some seeds, as Mr Winningoes was miming with the arms the landing of an airplane, I thought for an instant that he was somehow, taking a fool of me.


Instead, through the climbing greens, beyond the garden, he was showing to George a wide, flat open space explaining to him that it was dealt with a private or personal airport.


He drove us soon after on the other side of the house. That side of the garden was different from that opposite one. There were some plants of sunflower, that dominated the space with their yellow sheets and several other green plants, with webbed and rough leaves, fixed at the stem in opposite and crossed series.

 

- “Helianthus annuus and Cannabis Indica” - he was pointing out to a very careful George. On the first I didn't pay so much attention to those names. Still I was rather surprised by the knowledge of the scientific definitions that the man had shown to possess on the flowers. Then I heard suddenly a sound of bells, playing somewhere in the meander of my memoirs. But certainly! What a fool! Cannabis indica. Damn to Latin Language! I took one of the so many driveways of the garden and I drew near with interesting look.