martedì 19 luglio 2022

Recuerdos de un Italiano en Londres - 20

 

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Otros vendedores callejeros que conocí en Londres eran "los vendedores de espejos". Excepto por unos pocos separados en algunos lugares aislados, los vendedores de espejos se encontraban en su mayoría en una estrecha red de carreteras alrededor de la famosa Carnaby Street, el verdadero centro comercial del turista de Londres y que continuaba desde la épica de los Beatles.

Un poco ya deteriorado, pero sigue siendo una gran atracción en la segunda mitad de los años setenta. Toda la gama de los símbolos del consumidor y la nueva mitología occidental, que también se puede encontrar en las camisetas vendidas como recuerdos en las muchas tiendas que ocuparon el camino corto, el reino de las compras turísticas baratas y rápidas, junto con los símbolos de Londres, se reprodujeron en espejos de diferentes formados y vendidos en la calle frente a esas tiendas, que también constituían su tienda y almacén.


De Marylin Monroe a Humphrey Bogart; de Gin Beef Heart a Coca Cola; desde los estilizados modelos Liberty hasta Union Jack, pasando por las irlandesas whisky


escocés, bandas de rock e incluso la familia real, todo se reprodujo en esos espejos de colores, suavemente enmarcados y vendidos desde un mínimo de 99 peniques hasta un


máximo de £ 20 dependiendo en su tamaño y en la billetera y el equipaje del comprador.



Los vendedores de espejos de esta área eran casi todos italianos o españoles.

Jóvenes que habían venido a Londres para estudiar inglés y conocer la ciudad. O que se habian escapado del clima económico y político de reflujo y, en cualquier caso, atraìdos por la gran fascinación que la capital de la música Rock ejerce todavía sobre los jóvenes de esa Europa más pobre y que buscaban, junto con una mayor libertad, una trabajo que les permitia vivir de una manera decente, confiando solo en su fuerza y sin pesar sobre la familia.

 

 

lunedì 18 luglio 2022

Quante Penelope aspettano speranzose, ancora oggi, l’arrivo dell’amato nei porti del Mediterraneo?

 


Come tutti i miti anche quello di Penelope si evolve nel tempo. E di strada ne ha fatto, la moglie di Ulisse, dalla lettera che le dedicò Ovidio e dalle pagine in cui Omero l’ha immortalata, narrando le gesta del suo sposo Odisseo.

L’attrice Viviana  Bovino (anche autrice del testo e coreografa) e il regista Gregorio Amicuzi, sotto il cielo stellato del Nuraghe Arrubiu, nell’ambito della XIV Rassegna NurarcheoFestival ( organizzata dal Crogiuolo di Rita Atzeri) ne hanno proposto, ieri, 17 luglio 2022,  una rivisitazione in uno spettacolo di teatro-danza che si sviluppa, quantomeno,  su due distinti livelli.

Il primo è quello classico, della ricerca  spasmodica d’un amore impossibile, dell’attesa di un ritorno, tra dubbi e speranze, dell’assedio di amori alternativi non voluti, forse proprio perché concreti e possibili (una discrasia che ci è stata restituita, in tempi più recenti, perfino dal poeta maledetto, o da chi per lui, nella poesia “Ed io ti penso ma non ti cerco”, dove lo iato tra il pensiero amoroso  e l’azione conseguente, si strugge di nuove,  impossibili passioni, cristallizzandole nell’Olimpo degli amori da idealizzare, immortali perché astratti e irrealizzabili, come quello di  Tristano e Isotta, Euridice e Orfeo, Giuletta e Romeo).

Il secondo livello è quello che fa rivivere Penelope nelle tante donne che, forse avvolte nei veli, crescono da sole i loro Telemaco, figli di uomini avventurosi che spinti dal bisogno e dal desiderio di una vita migliore, vengono però inghiottiti dal mostro marino, quel mar mediterraneo, dove, più o meno tremila  anni fa, degli dèi capricciosi giocavano con i desideri  di Ulisse che, non essendo mai voluto partire per la guerra, cercava, in fondo, una vita normale, accanto a sua moglie e a suo figlio; quello stesso desiderio, quindi, che ha spinto tanti diseredati del mondo variegato che si affaccia ancora oggi sul  Mediterraneo, a imbarcarsi alla ricerca di una vita normale, con la speranza di essere raggiunti,  un domani, dalle proprie donne. Quelle donne che il teatro danza di Viviana Bovino, sotto le stelle brillanti del Nuraghe Arrubiu di Orroli, ha impersonato nei suoi volteggi drappeggiati di azzurro.

Ricerca e sogni resi vani dai porti chiusi, quando la furia del mare impetuoso, non li abbia invece già spezzati e ighiottiti nei flutti degli abissi marini.

Sogna Penelope, nei tuoi azzurri veli; sogna l’approdo del tuo amato nei porti degli impossibili amori.

venerdì 15 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-14

 

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Così dicendo si mise a esaminare ciò che Santiago aveva estratto dal cassetto.  Nel frattempo il commissario rovistò negli altri cassetti del comò.

«A meno che…» disse Luisa mano a mano che si rendeva conto che la sua cernita e quella del commissario non avrebbero sortito alcun risultato.

«A meno che non se la sia portata via l’assassino!» completò il commissario, anticipandola.

«Quello vero!» precisò l’avvocato. Nel suo viso, adesso, l’incredulità aveva lasciato il posto a una certa soddisfazione. Alla sua tesi stavano arrivando conferme, scagionando definitivamente, se ancora ce ne fosse stato bisogno, il suo assistito anche agli occhi del commissario

«Per scrupolo io cercherei meglio. Magari la chiave è stata riposta dalla stessa vittima in un altro posto…magari anche nella tasca di una vestaglia. Che ne dici di rovistare insieme tutto l’appartamento?»

«Dico che va bene! Ma chissà perché io penso che non troveremo niente!»

Dopo un’ora abbondante la loro ricerca certosina non aveva dato alcun esito. L’intuito dell’avvocato aveva visto giusto. Qualcuno aveva preso la chiave della cassaforte, portando via anche tutto il contenuto, oltre la carta del bancomat e i soldi. E questo qualcuno poteva essere soltanto il fantomatico assassino senza volto.

«Ma come avrà fatto?» chiese Luisa come interrogando se stessa. «C’erano i Carabinieri, qui, in casa. Possibile che l’assassino avesse già svuotato la cassaforte quando sono arrivati i Carabinieri? E se aveva già svuotato la cassaforte cosa faceva lì in cucina, dove è stato trovato il corpo della signora Emma?»

«Vieni, andiamo su in mansarda. Io un’idea ce l’avrei!» disse il commissario avviandosi verso la ripida scala in legno che portava in mansarda.

giovedì 14 luglio 2022

The real story of Patrick Winningoes-12


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The past Monday, the 12th November 1979, it was very early when Mr. Winningoes had come to pick us up at home, meaning that the results of the analyses had fully satisfied him in that week end.


George and I had spoken of the events of the preceding Friday for a long time.  We tried particularly to guess what kind of job would eventually have to begin, since Mr. Winningoes had not mentioned it at all. For how much we spoke of it, however, we didn't succeed in finding a satisfactory explanation.  The most probable prognostications seemed to lead us at jobs like: cook, waiter, butcher or grocer generally; and either assistant of infancy or geriatric. But the most probable reasons were also met with some element of illogical meanings.

 

George, briefly, suggested that the strange man had to be either crazy or, at least, a sort of an eccentric and sclerotic subject. Between parenthesis he made me observing, to retry his own theory, that Mr Winningoes had not even mentioned the job related with Mr Joking and though he had told us that his agency was entrusted for getting manpower to the enterprise. I returned that it would have been up to us to tell him we were sent by Mr Joking and if we had not done it, for distrust or for our own comfort, could not complain of it. I didn't really complain of it because I was sure that I could never get an advance of 100 pounds from any other employer in the world.


He returned beating me point by point. With particular respect to the money got as advance, he sustained that those banknotes must have been either false or fruit of sinister business. Neither I could change his mind on the point, the fact that I easily succeeded on changing all my banknotes, in five different occasions. I was sure of my opinion. I had already had on my hands some false banknotes and I knew well, more than one way, to identify them.


 

The notes that nice fellow of Winningoes had given to us were good. They were fresh of bank, because I had realized that they had never circulated before, and rustled and played to gold as they say. If that man was so eccentric (and so rich) to be amused by paying advances to poor, foreign, jobless men, well, good for me that, by the way, I was enumerated between those poor chaps.

And, finally, if George, had also to be right and that man was crazy, in that case,  he would not be certain the first one, in London.

 

Mr Winningoes hadn't rung the bell, but he beat at one of the big windows of the room. As he could have known, at that time, that those were the windows of the room we occupied in the house, I wondered only more afterwards.  That morning, we were so much in excitement, that I only worried about to wake George and prepare me in my best hurry. We were finally going to begin our work. And with perspectives of significant and easy earnings. To the devil George’s pessimism and fears!

 

On the other side of the road we immediately noticed a green van, where our new employer, impatiently, drummed God only knows what rhythm, with the long and thin fingers. His look was fixed on nothingness and perhaps he was following his more intimate thoughts. He didn't notice us, in fact, until I reached the opposite guide’s side beating him slightly on the glass. He got shaken by that and lengthened with agility to open us the door. Outside it was prickly cold and was the only sign of the early time, since the sky, as in the previous days, was a grey, homogeneous cover of clouds that only the night would have obstructed to our eyes keeping the city under an opaque and thick grey light, rather similar to those days when the sky, in the Mediterranean countries, announces the rain in the winter time.

 

-« Hello! Is it everything all right?» - Mr Winningoes began happily as soon as we had taken seat in the van. He didn't seem to expect any answer while turning the starting key, may be getting back at the thoughts brusquely interrupted a little before.


- «Good morning»– we both answered.


-«You can put it behind» – he told me, pointing out with the finger my white-green trip bag I had instead placed at my feet. I put it beyond the frontal seat. I wanted to do the same with  George’s bag but he had already fell asleep, reclined between the door and the seat with his bag on his womb.


-« There is a beautiful warm here inside »- I happily commented.


-«Yes, it is true» - he plainly responded; and immediately add with fatherly tone, after peering at George with the tail’s eye :”You did not make too late yesterday night, did you ?” -.

 

- «No, no, we didn’t » - I responded laughing. -« He is always very asleep, but only early in the morning»-.

 

In the meantime I noticed we had reached Edgware rd, suddenly  proceeding toward the Maida Vale street (the second is the continuation of the other in the northwest direction).

 

Then the van turned in to Shirland rd, after in to Elgin rd, emerging finally at the Harrow rd (an immense artery of London traffic that crosses the city from the important railway station of Paddington up to Wembley Park). As we had crossed this last road for a brief line, toward north, our guide promptly reversed the direction and, through a tangled net of roads and little streets, took the direction more and more toward southwest, passing for Notting Hill Gate, Holland Park rd, up to Hammersmith rd.

 

- “Where have you said we are going to?” - I asked pretending he had said something about.

 

-” To the south of the river Thames” - he answered vaguely. -” We will cross the river from the bridge of Chiswick, since Hammersmith’s is temporarily closed to traffic. You know the bridge of Hammersmith, don’t you?.”

 

- “' For sure!” - I exclaimed  – It’s a very nice bridge!!!'” -.

 

- “And also very old ,” – he added -” They are now restoring it “- concluded finally with indifferent tone.

 

Passed that we had to the south side of the river our van was  soon running along the huge Richmond Park, one of the big green bellows in London. The transit of men and vehicles was scarce, which meant that probably it was not eight o’clock yet. I recalled a vision I had one day, in the peak hours, when London workers return to their houses: I was upstairs,  in a double decker bus, and I imagined those numerous passers-by disappearing in to the Underground were swallowed by a voracious Minotaur.


That morning, instead, the red buses, with their mighty tonnage, almost seemed to fly in the empty roads still shrouded in the fog.

 

Before falling asleep, in front of my eyes, I could see a kaleidoscopic series of colored neon signs running each other: Barclays, Take Courage, Old Inn, Midlands, Guinness, Shovels Ale, Marks and Spencer, Lloyds, Tesco, becoming progressively confused with the buildings on which they were posted, forming some funny and unlikely architectural figures untied to the edges of a fast oil river, crossed by a phosphorescent wake, on whose trace, our green van seemed, rather, a winged hull.

As I woke up, I felt a diffused numbness all over my limbs. George was still sleeping, stretched to the van-door, with the hands on his bag, still in his womb. I felt, impelling, the need to stretch my legs.

 

- “Where are we?” – said George confused, opening his eyes, as I called him insistently.


- “ You sleep like a log! Let me go down, please.” -I counter said, pushing him gently outside.

 

I followed him, in his agile leap on the gravelly ground. There was a light perfumed breeze in the air. We were amazed by the surrounding space. The van had halted its march at the feet of a groove of cypresses, trough which boughs, on the left, we could see glimpses of a red bricks building, approached by a wind mew, that cut in two sides a wide and green lawn. It was from that direction that we saw Mr. Winningoes arriving.


- “Welcome to Heavengate” - He said coming to meet us.


He wore a celestial, very elegant suit. Only when I saw his dark sun glasses, I took notice of the long shades of the cypresses at our feet.


- “You will have time to admire the beauties of my park. Now be pleased to come with me. I will show the house and the immediate proximities to you. Then, after lunch, we will talk of business” -. This way saying we all soon moved through the same path he had come from, on the opposite direction.


His annotation about business brought me brusquely at  reality.


Coming up I asked him the place we were in, but he seemed not to hear my question.
I looked at George with interrogative air. Instead of answering,  he shrugged on his shoulders, as to mean: “I told you.”


After a long bend the little street sloped up straightly towards the building. Seen  frontally, it now appeared to be made of three parts. That central part, raised over three plans taller than  the lateral wings. Three high windows, one for each floor, accented its slender seize. On the top thin, triangulated laces, made it look like the bell tower of a middle-aged church. The lateral  sides departing from the centre, widened in perfect symmetry, such to give the building a solid and stately aspect. Three steps led to the ample atrium from the path. The two sides corridors were closed by bright glass door.


- «You can put your bags there, for the moment» - told us Mr Winningoes, pointing out two  wicker armchairs that towered the sides of the entry – "we will take first a quick look around the house.”

 

After a short while, the man led us outside that sort of long veranda which ran around the whole building, as we were going to discover. Some narrow, gravel driveways, consented to approach a wide spread garden, delimited, on the opposite side from a tall metallic net, wrapped densely by climbing greens.


From that colored sea a thousand scents of delight inebriated and gratified all my senses. It was as if they invited my mind to fly, decomposing each other in those endless tonalities, shattering in that surreal geometry on shapeless sights of beautiful colors. I heard our guide, lowered on some rare flower, explaining to George, who followed him with attention, its origins, by means of scientific, Latin definitions.

 

And again the desire to flow conquered me and I still immerged in that colored and flagrant sea, forgetful of every rational thought, free and fluid, in that magic world of impalpable stuff.
If only I had succeeded on abandoning myself, definitely on the wings of those feelings, would I have got lost in the space and in the endless time, or I would have been able to find again the way to come back? When I gathered from the ground some seeds, as Mr Winningoes was miming with the arms the landing of an airplane, I thought for an instant that he was somehow, taking a fool of me.


Instead, through the climbing greens, beyond the garden, he was showing to George a wide, flat open space explaining to him that it was dealt with a private or personal airport.


He drove us soon after on the other side of the house. That side of the garden was different from that opposite one. There were some plants of sunflower, that dominated the space with their yellow sheets and several other green plants, with webbed and rough leaves, fixed at the stem in opposite and crossed series.

 

- “Helianthus annuus and Cannabis Indica” - he was pointing out to a very careful George. On the first I didn't pay so much attention to those names. Still I was rather surprised by the knowledge of the scientific definitions that the man had shown to possess on the flowers. Then I heard suddenly a sound of bells, playing somewhere in the meander of my memoirs. But certainly! What a fool! Cannabis indica. Damn to Latin Language! I took one of the so many driveways of the garden and I drew near with interesting look.



 

 

 

 

 

mercoledì 13 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-12

 

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Sin da lunedì era stato  incerto se mandarle un mazzo di rose rosse, come soleva fare, seppure in occasione di ricorrenze, con sua moglie. Il suo sarebbe stato un gesto per manifestarle la sua ammirazione, il suo ringraziamento per la bella giornata trascorsa insieme. Un gesto per dichiarare apertamente la passione che provava per lei.

Poi aveva scelto  di non inviarle perché tra loro non c’era stata una vera e propria spiegazione in occasione del loro casuale incontro del sabato precedente. Anzi lui aveva capito che il silenzio di lei nei mesi precedenti era da attribuirsi, non tanto alla sua paura di innamorarsi, quanto piuttosto al timore che dall’innamoramento passionale si potesse passare a una relazione piatta e ordinaria, fatta di abitudine e routine.

Aveva deciso così di darle tutto il tempo di cui lei avesse avuto bisogno. Neanche lui, in fondo, era in cerca di una relazione standardizzata sull’ordinario, priva di emozioni e fatta di abitudini e convenzioni. Santiago si era, alla fine, adeguato a quella che sembrava essere la scelta di lei. Un rapporto senza vincoli, ricco di sincerità, ma anche di libertà. Amore e indipendenza e con una travolgente passione da vivere alla giornata.

 

Quando arrivò alla casa di via Giudicessa Adelasia lei era già lì che aspettava. Aveva ripreso le sue eleganti sembianze professionali, con il suo mezzo tacco nero, il tailleur sartoriale color amaranto, il suo preferito. I capelli raccolti in un elegante chignon e il trucco leggero, ma sapiente, donava ancora più luce ai suoi occhi e alla sua pelle.

Si salutarono affettuosamente, come due vecchi amici. Subito il commissario armeggiò con le chiavi che gli avevano dato in procura e che erano state sequestrate all’assistito dell’avvocato Levi, il presunto assassino con il coltello insanguinato in mano. Quando furono dentro casa l’avvocato provò le luci. La corrente c’era ancora, anche se non serviva. L’appartamento era luminoso e il sole illuminava ancora quella bella giornata di maggio. Il commissario sollevò le tapparelle del salottino della casa della vittima di quel brutale assassinio, ancora avvolto nel mistero, ancora senza un colpevole vero. Dalla finestra vide un volo di fenicotteri, come una squadra di aerei, sfilare verso la zona degli stagni.

martedì 12 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga - 11

 

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Capitolo Sesto

Il mercoledì successivo, mentre rientrava a casa dalla passeggiata nel Parco di Monte Urpinu, il commissario De Candia ricevette una telefonata. La voce di Luisa, sempre calda e piacevole, gli comunicò di essere finalmente in possesso della chiave della cassaforte a muro della casa dell’omicidio, quella di quel ragazzo con il coltello insanguinato in mano.

«Luisa, pensi che ci sia ancora la corrente elettrica in funzione?»

«Non lo so se qualcuno ha chiesto l’interruzione dell’energia elettrica. Io sono ancora a studio.»

«Allora rimandiamo a domani. Anche se io ho il rientro pomeridiano fino alle 18:00, ma a quell’ora c’è ancora luce e volendo potrei uscire anche un po’ prima.»

«Beh, io posso chiudere lo studio verso le 17:00 visto che non ho appuntamenti fissati dopo quell’ora.»

Si diedero appuntamento direttamente in via Giudicessa Adelasia per le 18:30, dopo i convenevoli di routine.

Santiago De Candia si chiese se un simile sopralluogo, effettuato con l’avvocato difensore dell’unico indiziato, fosse corretto da un punto di vista professionale. L’esame di procedura penale lo aveva sostenuto, all’università, parecchi anni prima e non ricordava, in quel momento, quale fosse l’esatto iter procedurale da rispettare. Considerò tra sé e sé che, per prima cosa, l’indiziato era stato comunque rimesso in libertà dal Tribunale. Poi, l’avvocato si era offerta di dare una mano per identificare il vero colpevole. E infine, per evitare complicazioni, non avrebbe mai fatto figurare ufficialmente quel sopralluogo. ‘Quod non est in actis, non est in mundo’, avrebbe detto il suo valido collaboratore, l’ispettore Zuddas. Dopo tutto, in coscienza, lui sapeva di non compromettere le sue indagini. Anzi, l’aiuto dell’avvocato Levi sembrava costituire persino un valore aggiunto per la soluzione del caso.

Il commissario aveva ripensato molto alla giornata di domenica. Da quando era morta la moglie, più di cinque prima, non aveva avuto storie particolarmente coinvolgenti. Soltanto Luisa lo aveva in qualche modo conquistato. Non era soltanto un’attrazione fisica, anche se l’avvocato Levi aveva un corpo sodo accompagnato da una intelligenza vivace come piaceva a lui. In realtà quella donna esercitava su di lui un fascino indefinibile. Da un lato, materno con quella sua avvolgente sicurezza femminile e quel suo seno florido e prosperoso. Però, sentiva che quella professionista abile e caparbia fosse alla ricerca, come tante donne, di un punto di riferimento o di un centro di stabilità. La sua sicurezza e la sua grinta erano autentiche, solide e profonde ma, non di meno, egli intuiva che la sua femminilità avesse bisogno di un elemento di completamento che non sconfinasse e non collidesse con la rivalità professionale e il confronto quotidiano e continuo. D’altronde, non era forse uguale per gli uomini? Non cercavano anch’essi una figura femminile che li completasse, dando loro stabilità, protezione, affetto?

lunedì 11 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-10

 



Il commissario le fece da Cicerone, anche se in realtà a guidarlo non erano tanto le sue conoscenze dirette di quei luoghi, ma più che altro i racconti che i suoi genitori, e sua madre in particolare, gli avevano fatto in gioventù. Prendendola per mano affettuosamente il commissario la guidò nei diversi siti, ormai ammantati di un’aura monumentale. La sede della direzione, con gli uffici a piano terra, gli alloggi del direttore al primo e quelli dei dipendenti, tra cui suo nonno paterno, al secondo piano. L’ospedale con la chiesetta dedicata a Santa Barbara, protettrice dei minatori. La laveria, le officine per la manutenzione degli impianti, la vecchia linea ferroviaria, a scartamento ridotto, che trasportava piombo e zinco a San Gavino. E infine Telle, il villaggio dov’era nata sua madre, ormai quasi inghiottito dalla vegetazione, che si stava riprendendo lentamente tutti gli spazi che gli uomini le avevano sottratto nei decenni precedenti.

«Sei stanca?» le chiese a un certo punto il commissario, timoroso di averla fatta camminare a lungo e per troppo tempo.

«No, per niente! Sei riuscito a farmi dimenticare, per una buona parte della mattinata i miei problemi quotidiani!» rispose con trasporto l’avvocato Levi.

«Meno male!» commentò il commissario sentendosi risollevato da quella risposta entusiasta e spontanea.«Adesso ti porto in un bel ristorante a recuperare un po’ di energie, perché poi, se non hai niente in contrario, intendo arrivare sino a Buggerru!»

«Bene! Quest’arietta di montagna mi ha fatto venire un po’ di appetito!»

Ripresero l’auto e a un certo punto della strada provinciale imboccarono una strada secondaria che portava, secondo le indicazioni stradali, alle grotte de ‘Su Mannau’. Lì, in mezzo ai boschi, c’era il ristorante a cui si riferiva il commissario.

«Speriamo che sia aperto!» esclamò l’avvocato Levi appena l’auto fu parcheggiata all’ombra di alcuni possenti alberi.

Tutt’attorno, a vista d’occhio, non si vedevano altro che lecci, olivastri e macchia mediterranea.

«Tranquilla! Ho prenotato sin da ieri sera» disse il commissario.

In effetti erano attesi. Il titolare in persona li accompagnò a un tavolino già apparecchiato. Da lì potevano godere del paesaggio selvaggio che li circondava.

Scelsero un menù di mare, innaffiato con un ottimo vino bianco paglierino. Il commissario notò che Luisa non aveva perso il piacere di mangiare, né quello di accompagnare i suoi pasti con un buon bicchiere di vino. Non era frequente trovare in una donna entrambe le abitudini. O forse era lui che aveva conosciuto, soprattutto in casa sua, soltanto donne praticamente astemie e schifiltose nel mangiare, cui facevano da contrappunto uomini dalle buone forchette e dai gomiti snodati. Insomma era un piacere stare a tavola con quella donna, che in più era anche un’ottima conversatrice.

Quando giunsero in vista di Buggerru era già pomeriggio inoltrato. Con il suo fuoristrada il commissario si inerpicò senza troppe difficoltà su un promontorio roccioso in cima al quale la loro vista dominava la baia di Cala Domestica.

Lì si fermarono a lungo e in silenzio, persi nei loro pensieri. E mentre Amàlia Rodrigues cantava i suoi strali di sofferenza, le loro anime si fusero in quella Saudade malinconica, pervase da quel languore fisico che solo il Fado, il Flamenco, il Blues e certe Canzoni Napoletane, nelle loro diverse e struggenti varianti, sanno dare. E quel silenzio li unì più di tutte le storie che si erano raccontati dalla partenza, durante il viaggio nelle miniere, fino al ristorante, a ridosso delle antiche gallerie. Forse le loro storie incombevano e si calavano in quel silenzio e, attraverso i loro sensi, si proiettavano nel paesaggio circostante, frusciando tra cisti e ginepri, accarezzando olivastri e corbezzoli, appianando sino al mare della costa verde, dopo avere sfiorato i faraglioni, le falesie e le torri spagnole che un tempo avevano difeso quelle coste dalle incursioni dei Saraceni.

Dopo che il sole si fu immerso nel mare, in cielo apparve una luce, quasi all’improvviso.

«Guarda com’è lucente e vicina!» disse Luisa Levi indicando quella luce sopra l’orizzonte.

«Dev’essere…»

«Venere!» concluse lei, precedendolo.

Lui si voltò a guardarla. Quella luce, quel nome, quella parola che lei aveva pronunciato, quasi leggendogli nel pensiero, gli avevano suscitato all’improvviso una trepidazione e un’emozione che ritrovò magicamente negli occhi di lei.

Rimasero così, a guardarsi negli occhi, per un lungo istante, stupiti di se stessi e della loro tenera trepidazione. Non dissero altro. Si baciarono a lungo. Poi i loro corpi si cercarono, con un’attrazione che gli spazi ridotti dell’auto sembrarono rendere perfino più forte e irresistibile.

Fu un’esplosione di passione, sotto la luce sempre più forte di Venere, mentre fuori il concerto dell’avi fauna e il frusciare del vento nella flora selvaggia, accompagnava i loro sospiri e la danza dei loro corpi, fusi nel magico ripetersi di un atto, apparentemente sempre uguale, come il perpetuarsi della specie, eppure sempre diverso, come differenti sono le occasioni e le emozioni che culminano nell’amore.

domenica 10 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-9

 

«Il mio assistito mi ha detto che la teneva nel primo cassetto del comò, in camera da letto, tra la biancheria intima.»

«È uno dei primi posti dove ho cercato, ma non sono riuscito a trovarla, né lì né altrove. Ma mi sa tanto che la settimana prossima ci torno e cerco meglio» disse ancora il commissario sempre con quel tono distante, come se parlasse per conto suo.

«Se vuoi ci torniamo insieme. E l’apriamo con la chiave di Alessandro. Dammi soltanto il tempo di chiedergli di portamela in studio al più presto possibile.»

«Davvero ne ha una copia il tuo assistito? Caspita, questa sì che è una buona notizia! Mi evita un sacco di rogne di autorizzazioni per chiamare un fabbro e per fare scardinare la cassaforte!»

«Il mio assistito godeva della massima fiducia da parte della zia, al punto che la donna ultimamente aveva provveduto a fargli una delega sul conto corrente bancario dove le accreditavano la pensione e, spesso, lo incaricava di fare dei prelievi, per suo conto, direttamente in banca oppure con la carta del bancomat.»

Intanto, mentre parlavano, avevano lasciato la strada statale e si erano immessi in quella provinciale per San Gavino. Da lì, arrivati a Guspini, non sarebbero stati distanti da Gennas Serapis, altrimenti nota come Montevecchio, l’antico borgo minerario, dove c’era una parte significativa delle radici più recenti di Santiago De Candia.

E mentre procedevano verso la loro meta, Luisa Levi apprese, senza quasi mai interromperlo, come il nonno paterno del commissario, Nicola De Candia, giovane e brillante perito minerario barese, assunto dalle Miniere di Montevecchio degli Eredi Sanna, subito dopo la Grande Guerra si fosse insediato nel borgo minerario. E come, poco tempo dopo, avesse conosciuto a Buggerru, dove si era recato per assistere a uno spettacolo teatrale, una graziosa fanciulla, di nome Ines Orcel, che scoprì essere la figlia


di un suo collega francese che lavorava per la Societé des mines de Malfidano, che a Buggerru aveva la sua sede operativa, e della quale si era innamorato praticamente a prima vista. E in che modo riuscisse a conquistarla, dopo serrata corte. Favorito in ciò da alcune conoscenze comuni che gli consentirono di vincere la diffidenza che il padre di lei nutriva verso i non francesi. E soprattutto aiutato dalla madre di lei, una donna spagnola della Estremadura, che in quei paesaggi selvaggi della Sardegna e in quel popolo chiuso e tenace, rivedeva probabilmente la sua terra d’origine e i suoi stessi avi. In realtà, il nonno del commissario, Nicola De Candia, di sardo aveva soltanto  l’amore e la riconoscenza verso la terra che lo aveva accolto, dandogli lavoro e rispettabilità.

Nella parte conclusiva del viaggio, proprio mentre il loro fuoristrada, lasciandosi Guspini alle spalle, cominciava a inerpicarsi sulla larga salita che conduce al vecchio borgo minerario, l’avvocato Luisa Levi inoltre  apprese  come dalla coppia fosse nato il papà del commissario, Salvatore De Candia. Il quale, dopo aver prestato il servizio militare, innamoratosi di una diciassettenne di nome Regina Serru, figlia di un guardiano minerario, già comandante della compagnia barraccellare guspinese, fosse passato nei ranghi della polizia di stato, trasmettendogli, congiuntamente al nonno materno, quella passione per l’ordine e la disciplina che Santiago aveva saputo rielaborare in quella sua maniera fantasiosa e originale che lo caratterizzava. Luisa aveva ascoltato la storia del commissario, come da piccola aveva imparato ad ascoltare le favole che il papà le raccontava prima di addormentarsi.

Erano da poco passate le undici quando il commissario parcheggiò la sua auto di fronte a un edificio che un tempo aveva ospitato il centro vitale dell’antico borgo minerario, con l’Ufficio Postale, la Caserma dei Carabinieri, lo Spaccio Aziendale e, poco più avanti anche il cinematografo. E dove adesso resisteva ancora un bar, in cui poterono rinfrescarsi prima di iniziare la passeggiata a piedi che Luisa accettò di fare con entusiasmo.

sabato 9 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-8

 

«E sono anche certo che tu saprai indicarmi quali altri parenti potrebbero essere interessati, quantomeno in linea teorica, a questo testamento. O sbaglio?»

«No, non sbagli. La signora Emma era nubile e senza figli. Lei aveva una sorella, più giovane,  Anita, colpita da  un tumore che l’ ha portata via anzitempo. Ha lasciato due figli che vivono a Carbonia. Inoltre, aveva un fratello, Angelo Pirastu, di cui Alessandro, il mio assistito è figlio unico. Anche se non ci sono dei legittimari, senza il testamento, l’ingente patrimonio della defunta andrebbe diviso tra il fratello Angelo e i due nipoti di Carbonia, che subentrerebbero alla madre per rappresentazione. Invece, grazie al testamento verrebbero esclusi, sia i due nipoti di Carbonia, sia il papà del mio assistito, che però è semi paralitico, pur essendo più giovane della defunta sorella.»

«Stai dicendo che gli unici sospettabili sono in realtà i due nipoti di Carbonia?»

«Io non ho detto niente! Lo sbirro sei tu, mica io!» disse l’avvocato in maniera simpatica, ma mettendosi subito sulla difensiva.

«Beh, potrebbe trattarsi anche di un furto finito male, nel senso che magari il ladro ha reagito d’impulso, dopo essere stato scoperto.»

«Certamente. Ci ho pensato anche io, però c’è una cosa che mi ha sorpreso. Come mai, mi sono chiesta, questo ipotetico ladro ha sferrato ben tre colpi alla vittima? Perché accanirsi così tanto brutalmente sulla vittima?» L’avvocato si fermò come se volesse dare tempo all’uomo di rispondere, ma il commissario si limitò ad annuire, chiedendole di continuare. «Oltre l’efferatezza del gesto, per me sono le uniche due spiegazioni alle quali sono pervenuta. Ma non saprei dire quale delle due sia la più probabile. Io so soltanto che il mio assistito è super innocente! Di questo soltanto sono sicura.»

Il commissario non rispose. Sapeva bene che se anche, per ipotesi, un cliente confessasse la sua colpevolezza, all’avvocato è proibito di rivelarlo, pena la radiazione dall’albo.

«Che tipi sono questi due nipoti di Carbonia?» disse invece.

«Il mio assistito, mi ha detto che la cugina Maria Grazia Picciau è una tranquillona. Ha vinto il suo bel concorso pubblico e lavora come impiegata comunale in un paese distante una ventina chilometri da Carbonia. Andrea Picciau, suo fratello, che è più grande del mio assistito di parecchi anni, ha avuto invece un passato da tossicodipendente, ma adesso si è rimesso in carreggiata. È ospite di una comunità di recupero dove ha imparato a lavorare la terra e a guadagnarsi il pane con il sudore della fronte. E non mi ha saputo dire se conoscano o meno l’esistenza del testamento. Anche se la vittima non aveva mai fatto mistero di detestare intensamente le abitudini insane del nipote Andrea. E comunque nel parentado era nota la predilezione della signora Emma nei confronti di Alessandro, il mio assistito.»

«Chissà dove teneva la chiave di quella cassaforte, la povera signora Pirastu…» disse il commissario, quasi tra sé e sé.