venerdì 20 ottobre 2023

Delitto al Quadrivio - 8

 


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Capitolo Terzo

 

Dopo avere recuperato un po’ del sonno perduto, una doccia refrigerante e una buona colazione l’avvocato Luisa Levi, vestita come si conviene a chi si accinga a simili visite, si trovava in viaggio sulla strada statale 130, diretta al nuovo Carcere Circondariale di Uta.

Anche se il  personale della Polizia Penitenziaria, che era lo stesso del vecchio carcere di Buon Cammino, ormai dismesso, la conosceva bene, dovette assoggettarsi  alla consueta routine cui erano sottoposti gli avvocati (ben più snella e meno estenuante di quella dei parenti): declinazione delle generalità del recluso  da assistere, consegna del badge di ammissione, cellulari e macchine fotografiche nel cassetto con chiave e consueta raccomandazione, ormai superflua, dopo anni di colloqui, di non lasciare penne o altri oggetti appuntiti ai carcerati (la penna, pur non essendo di per sé più pericolosa di tanti altri oggetti,  era però suscettibile di una banale dimenticanza rispetto ad altri oggetti pericolosi e di uso meno comune).

La sua attesa fu breve. Anche il suo cliente non doveva aver dormito a lungo, nella notte appena trascorsa.

Aveva infatti l’aria stanca di chi ha fatto le ore piccole e non ha avuto modo né di sbarbarsi né di cambiarsi d’abito.

Gino Garau era un uomo sui quarant’anni, di media statura e di complessione olivastra. Aveva ancora una folta e nera capigliatura riccia, dove si cominciava ad intravvedere qualche spruzzatina di grigio. Teneva gli occhi bassi ma dava più l’impressione di un uomo rassegnato piuttosto che di un colpevole.

      «Dottor Garau, mi dica la verità, senza offendersi per la domanda e considerando l’assoluto segreto professionale che mi vincola all’incarico che lei mi ha appena conferito: è stato lei ad uccidere la signora Daniela Georgimirescu?» chiese l'avvocato al suo nuovo assistito.

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sabato 14 ottobre 2023

Delitto al Quadrivio - 7

 


Intanto il suo cappuccino era diventato troppo tiepido per i suoi gusti, quasi freddo.

La bevanda gli lasciò in bocca un sapore sgradevole, e una sensazione di disagio che il commissario provava ogni qualvolta si imbatteva in una storia poco convincente e che neanche il cornetto alla crema, seppure fresco di giornata, era riuscito ad evitare.

Con l’aggiunta di un forte prurito al naso che il commissario cercò inutilmente di scacciare, passandovi sopra un paio dei fazzoletti di carta che il buon Tonio gli aveva messo a disposizione insieme alla colazione.

Più che il cappuccino freddo era il suo istinto di sbirro che gli procurava questo effetto sgradevole.

Con quella sensazione di disagio, dopo aver pagato e salutato il barista, il commissario concluse il tragitto  verso l’edificio  che ospitava gli uffici della Questura. Lo stabile, costruito in anni relativamente recenti, era sito nello spiazzo in cui sfociava quel primo tratto della via Tuveri, ad angolo con la via Carboni Boi e sembrava posto come a retroguardia del Palazzo di Giustizia.

Proprio lì, dietro le porte e le finestre dell’imponente ed elegante edificio, il cui nucleo originario risaliva ai primi anni trenta del secolo precedente,  ogni giorno si celebravano numerosi processi, civili e penali,   con la consueta, italica improvvisazione, un misto di approssimazione e genialità, con qualche rara perla di saggezza giuridica, negli strenui e troppo spesso vani tentativi di rimediare alle tante, troppe ingiustizie che anche in quell’angolo di mondo, dilaniato da faide fratricide, vendette oscure,  eredità contese,  liti piccole e grandi,  drammi personali vivi e palpitanti,  incomprensioni e rivendicazioni di ogni tipo, cercavano ristoro nella gestione della fallace giustizia degli uomini.

In attesa, per chi ci credeva, che quella divina rimediasse ai torti e ai danni da questa inflitti e perpetrati.

fine cap. 2

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sabato 7 ottobre 2023

Delitto al Quadrivio - 6

 


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La vittima era una violinista rumena, appena in pensione, che aveva suonato nell’orchestra del Teatro dell’Opera di Cagliari.

Era giunta in Italia nella seconda metà degli anni settanta e come altri musicisti rumeni di notevole spessore artistico, era stata inserita nella sezione degli archi dell’importante filarmonica cittadina.

Era conosciuta e stimata in città anche come insegnante privata di violino.

Le efficienti unità del Nucleo Radio Mobile di Cagliari, coordinate dal procuratore aggiunto dott. Bartolomeo Gessa, avevano chiuso le indagini a tempo di record, risolvendo brillantemente il caso, assicurando alla giustizia l’assassino.

Si trattava di una vecchia conoscenza della procura, condannato per rapina a mano armata alla fine degli anni ottanta. La rapida soluzione del caso, oltre che alle grandi abilità investigative del procuratore aggiunto, era merito della prodigiosa memoria fotografica  del maresciallo Camboni  del Nucleo Radio Mobile che, intervenuto sul luogo del delitto,  aveva riconosciuto, mentre fingeva di passeggiare in spiaggia col suo cane, una sua vecchia conoscenza, un  pregiudicato da lui assicurato alla giustizia molti anni prima,  quando  era stato condannato per rapina proprio grazie alla testimonianza della vittima. Il neo omicida era stato smascherato proprio dalla povera violinista, in occasione della rapina che aveva commesso ai danni del botteghino del Teatro dell’Opera. Ed ora, dopo essere stato scarcerato per buona condotta, dopo un periodo di riabilitazione, aveva potuto consumare finalmente la sua vendetta.

Tra le righe, anche se non c’era scritto, il commissario lesse la critica dell’articolista alla giustizia riabilitativa, troppo tenera con certi delinquenti, irrimediabilmente votati a delinquere. E ancora una volta, a pagare, era stata una vittima inerme e incolpevole. 

Il popolo delle torri - 3

 




Le capanne occupate dai sacerdoti si estendevano tutt’attorno al pozzo sacro, come per proteggere il regno degli dei delle acque. Lì era stato sistemato il fido amico Elki. Chissà come aveva trascorso la notte, l’uomo che gli aveva salvato la vita. Sua moglie era certo che quel gesto di protezione era stato premeditato dal grande sacerdote. Non aveva saputo o voluto predisporre alcun’altra difesa contro quel parricidio annunciato; per paura che allertando le guardie coinvolte nel complotto, i traditori potessero essere messi sul chi vive e magari decidere una modalità più complessa per il loro sanguinario piano. Elki aveva valutato e voluto il vantaggio della sorpresa che i suoi dei gli avevano offerto; e l’aveva sfruttato, a rischio però della sua stessa vita. In cuor suo fu grato all’amico e al sacerdote che aveva rischiato la sua vita per lui. «Gli dei danno e gli dei prendono», pensò ancora. Per un uomo che lo voleva morto, c’e n’era stato un altro che lo aveva salvato dalla morte. Solo che il primo era suo figlio! Quel pensiero sembrò afferrargli il cuore e strizzarlo sino ad espungervi tutto il sangue, in uno stillicidio infinito. Sarebbe mai guarito da quell’afflizione?

Ma adesso occorreva reagire! E subito!

Ci sarebbe stato tempo per piangere, dopo!

Adesso doveva stanare tutti i traditori che si celavano nel villaggio.Damasu non poteva aver agito da solo. Non era un pazzo. Gli venne in mente che in quel terribile istante, in cui lui lo aveva colto, subito dopo il gesto omicida, per una frazione di secondo suo figlio aveva indugiato con lo sguardo rivolto alla folla, come se si aspettasse un aiuto concreto, un sostegno, un intervento in suo favore. A chi aveva rivolto suo figlio Damasu quello sguardo che cercava soccorso? Evidentemente egli sapeva che in mezzo alla folla c’erano delle persone che stavano dalla sua parte; ma queste persone chi erano? E perché non erano intervenute in aiuto di Damasu?

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venerdì 6 ottobre 2023

Delitto al Quadrivio - 5

 


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Capitolo Secondo

Come ogni mattina, anche quel lunedì, il commissario Santiago De Candia, lungo il percorso che da casa sua, in via Monteverdi, lo conduceva alla Questura, fece una breve sosta all’edicola di Largo Gennari.

Checco gli allungò subito i due soliti quotidiani, piegati in quattro: La Stampa e L’Opinione.

Checco, come tanti cagliaritani, chiamava il quotidiano cittadino “l’Opignone”; il commissario, nonostante fosse nato in Sardegna, non aveva ancora  capito se si trattasse di un difetto  di pronuncia oppure di un vezzo.

La seconda sosta, più lunga, era quella al Bar di Tonio, il Caffè Intilimani, come recitava l’insegna, unendo in una sola locuzione il nome composto di un famoso gruppo musicale cileno degli anni ’70 da cui, verosimilmente, il fondatore del locale aveva preso ispirazione.

Seduto al suo solito tavolino, in fondo al locale, mentre provava a sorseggiare il suo cappuccino bollente e senza schiuma, aveva aperto l’Opinione. A prescindere dal nome, il quotidiano regionale si faceva apprezzare soltanto per la sua cronaca (per le opinioni, quelle vere, lui preferiva la Stampa di Torino, sulla quale si era orientato dopo tanti anni passati a formarsi sulla Repubblica).

A tutta pagina vi era la notizia dell’omicidio del Quadrivio. Santiago De Candia si immerse nella lettura del lungo articolo, dimenticando per un po’ il suo cappuccino.

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giovedì 5 ottobre 2023

Delitto al quadrivio - 4

 


«Buongiorno avvocato» – disse il maresciallo Camboni stringendole la mano, dopo le presentazioni di rito.

La borsetta era stata posta sotto sequestro e il sospettato era già in viaggio per il carcere di Uta, per disposizione del procuratore aggiunto Gessa!

Il dottor Gessa, intanto, finita l’intervista, si stava avvicinando al quartetto.

Salutò con un largo sorriso, stringendo la mano all’avvocato e al medico legale. I due militari erano subito scattati sugli attenti, portando la mano destra alla visiera del loro cappello in segno di ossequioso saluto.

-        «Quando pensa ci sarà l’interrogatorio di garanzia?» chiese l’avvocato dopo i convenevoli.

-        «In settimana. Il giorno esatto dipenderà dagli impegni del Giudice per le Indagini Preliminari. Venga a trovarmi a Palazzo, così le faccio notificare anche l’incidente probatorio! Ce la fa per mercoledì ad eseguire l’autopsia, professore?»

 

 

 

 

 

 

 

 

– aggiunse di seguito il magistrato rivolgendosi al medico legale.

-        «Ce la faccio», rispose Monsalvo, sempre con quel suo tono asciutto.

-        «Allora ci vediamo domani alle nove!» disse il procuratore aggiunto rivolto ad entrambi.

-        «Alle nove io penso di essere ancora a Uta per conferire con il mio cliente» – interpose l’avvocato.

-        «Ah! Certo!» – fece il dott. Gessa – «Facciamo a mezzogiorno allora?»

-        «A domani a mezzogiorno!» – confermarono sia il medico, sia l’avvocato.

-        «Buonanotte allora!» – salutò il procuratore generale andando via, seguito dai due sottufficiali di polizia giudiziaria.

Anche l’avvocato Levi e il prof. Monsalvo si salutarono, aggiornandosi all’indomani mattina.

Recuperata la sua auto, l’avvocato si avviò verso casa. Aveva giusto bisogno di riposarsi e raccogliere un po’ le idee.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli serviva la versione del suo cliente, prima ancora di quella degli inquirenti, che comunque avrebbe appreso dai verbali.

I suoi pensieri si sarebbero schiariti al mattino, come le tenebre che ancora avvolgevano la città silenziosa si sarebbero schiarite al levarsi del sole.