Intanto
il suo cappuccino era diventato troppo tiepido per i suoi gusti, quasi freddo.
La bevanda gli lasciò in bocca un sapore sgradevole, e una sensazione di disagio che il commissario provava ogni qualvolta si imbatteva in una storia poco convincente e che neanche il cornetto alla crema, seppure fresco di giornata, era riuscito ad evitare.
Con
l’aggiunta di un forte prurito al naso che il commissario cercò inutilmente di
scacciare, passandovi sopra un paio dei fazzoletti di carta che il buon Tonio
gli aveva messo a disposizione insieme alla colazione.
Più
che il cappuccino freddo era il suo istinto di sbirro che gli procurava questo effetto
sgradevole.
Con
quella sensazione di disagio, dopo aver pagato e salutato il barista, il
commissario concluse il tragitto verso
l’edificio che ospitava gli uffici della
Questura. Lo stabile, costruito in anni relativamente recenti, era sito nello
spiazzo in cui sfociava quel primo tratto della via Tuveri, ad angolo con la
via Carboni Boi e sembrava posto come a retroguardia del Palazzo di Giustizia.
Proprio lì, dietro le porte e le finestre dell’imponente ed elegante edificio, il cui nucleo originario risaliva ai primi anni trenta del secolo precedente, ogni giorno si celebravano numerosi processi, civili e penali, con la consueta, italica improvvisazione, un misto di approssimazione e genialità, con qualche rara perla di saggezza giuridica, negli strenui e troppo spesso vani tentativi di rimediare alle tante, troppe ingiustizie che anche in quell’angolo di mondo, dilaniato da faide fratricide, vendette oscure, eredità contese, liti piccole e grandi, drammi personali vivi e palpitanti, incomprensioni e rivendicazioni di ogni tipo, cercavano ristoro nella gestione della fallace giustizia degli uomini.
In
attesa, per chi ci credeva, che quella divina rimediasse ai torti e ai danni da
questa inflitti e perpetrati.
fine cap. 2
continua....
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