domenica 17 novembre 2024

Domenica 24 Novembre ore 18:30I Nuovi Baroni

 

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 Amedeo Pistis, anche se illetterato, era un uomo intelligente. Aveva fiutato che quell’aria di rivolta che aveva scombussolato la Sardegna, così come tutta l’Europa alla fine del secolo diciottesimo, era foriera di importanti cambiamenti e non si era fatto cogliere impreparato. Non aveva partecipato direttamente ai moti angioini del ’94 di cui, nella Villa, erano giunti soltanto gli echi attenuati e i riverberi ideologici.

 Però aveva investito una parte del suo gruzzoletto sul suo quinto e ultimo figlio, Luigi Angelino, nato nel ‘97, facendolo studiare dagli Scolopi, a Cagliari.

 L’investimento si era mostrato quanto mai azzeccato grazie alle qualità e all’applicazione che Luigi Angelino aveva evidenziato negli studi.

 Segnalato dai precettori tra i migliori e più brillanti studenti a conclusione degli studi, fu assunto come scrivano all’Intendenza provinciale, che all’epoca aveva la sede a Villacidro. Fu da quella posizione che poco prima del 1820 Luigi Angelino allertò il suo genitore Amedeo che le immense proprietà indivise dei viddazzoni, nei territori di tutto il Regno di Sardegna, stavano per essere aboliti, per consentire alla proprietà individuale di divenire perfetta e che occorreva attrezzarsi per chiudere quante più terre si poteva, perché il primo che recingeva quegli immensi terreni comunitari, ne diveniva il proprietario in maniera definitiva.

Quello era il nuovo che avanzava, l’ondata di ritorno e conclusiva di quell’afflato rivoluzionario del secolo precedente, che avrebbe voluto spazzare via il vecchio regime con la forza ma che invece, per concludere la sua opera, abbisognava soltanto di altro tempo. E il tempo adesso era giunto.

I suoi compaesani si chiesero a lungo e inutilmente per chi fossero quei carichi continui di legname e di massi che andavano e venivano in lungo e in largo sui carri dei suoi buoi e che Amedeo andava ammassando nel cortile della sua casa e in alcuni punti strategici che lui aveva adocchiato come i migliori per il movimento che aveva in mente di fare al momento opportuno.

 E il momento giusto fu l’autunno del 1820, subito dopo la pubblicazione del Regio Editto “Sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna”.

Fu allora che i compaesani capirono a cosa servivano quei massi e quei pali di legno con i quali Amedeo recintò centinaia di starelli di terreno comunitario, presentando nel contempo all’Intendenza competente la domanda per chiuderne altrettanti di quelli soggetti a servitù di pascolo e d’abbeveratoio.

Carlo Emanuele si ricordava bene di come suo padre aveva formato delle squadre per recintare le proprietà che aveva adocchiato e di come resistette, negli anni a venire, sia alla forza fisica degli abbattitori, sognatori e nostalgici del tempo andato, sia legalmente a chi era convinto di avere ragione a protestare, senza capire che la legge era stata fatta apposta per recingere.

In giudizio suo padre vinse tutte le cause intentate, e più tardi, ebbe tempo, modo e soldi per recingerne anche delle altre, grazie alle entrature che si era create negli uffici preposti.

E adesso, lui, che del padre Amedeo aveva ereditato il fiuto della storia, sentiva che stava per arrivare il momento di accaparrarsi nuovi possedimenti, tra quelle proprietà feudali che sarebbero presto state riscattate ai vecchi baroni, dove lui avrebbe messo le sue mani, per papparsene una bella porzione.



 

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