sabato 27 agosto 2022

La Terza via - 11





Capitolo 11

L’indomani mattina, quando mi svegliai, trovai Michele in cucina che armeggiava con la macchinetta del caffè.

Dopo il caffè gli dissi che prima di andar via avrei voluto aiutarlo a ripulire la casa. In effetti c’era un gran casino dappertutto.

L’idea gli piacque e lavorammo sodo per un paio d’ore.

«Simona sarà contenta, quando torna!» disse, a un certo punto, sedendosi per riposare e accendendosi una sigaretta, tutto soddisfatto.

«Rientrerà per pranzo?» gli chiesi accettando la sigaretta che mi offriva e sedendomi a fumare anch’io.

«No, il venerdì fa orario continuato in agenzia e mangia fuori» rispose Michele. «Che ne dici di una pastasciutta per pranzo?» continuò levandosi in piedi.

Non sapevo se accettare. Avevo paura di disturbare. Forse pensavo a quel detto che ripeteva spesso il mio vecchio ridendo: “L’ospite è come il pesce; dopo ventiquattrore puzza!”. Io ero lì, lì, per compiere un giorno intero. Pensai che magari Simona non sarebbe stata d’accordo.

«Dai, non vorrai farmi pranzare da solo?»

La sua offerta fu così genuina che mi parve scortese rifiutare.

«Permettimi però di andare a comprare qualcosa al supermarket.»

Non voleva, ma dovette accettare la mia condizione, perché capì che senza di quella me ne sarei andato sul serio.

Quando tornai col vino, la frutta e del formaggio stava già scolando la pasta. Aveva improvvisato una carbonara niente male, il buon Michele.

«Mi piace cucinare. Con Simona che mangia spesso fuori mi son dovuto abituare. E adesso lo faccio con piacere.»

Dopo pranzo mi portò nel laboratorio dove confezionava i suoi articoli di pelletteria. Ne aveva parecchi; tutti pezzi unici; avevano un non so di che di robusto, di antico e di artistico allo stesso tempo; pur nella loro estrema essenzialità. Si mise a riempire dei borsoni.

«Domani devo esporre alla Festa de Noantri! Mi fai compagnia? Così mi aiuti anche a portare la merce. Sabato sarò da solo!»

«Simona non viene con te?»

«Magari la domenica. Il sabato lei lavora, soprattutto in questo periodo.»

«Pensi che a Simona faccia piacere?»

«Se sa che mi aiuti alla festa, figurati! Lei è molto protettiva; si sentirebbe sicuramente più tranquilla!» disse con entusiasmo, immaginando dalla mia domanda che io volessi accettare la sua proposta. In effetti l’idea non mi dispiaceva. Fra i miei progetti mai realizzati c’era stato , un tempo, quello di vendere per strada degli oggetti confezionati da me. Come faceva Michele, senza impegno, giusto per campare la giornata. Magari io avevo pensato a dei braccialetti, degli anellini o delle collanine in metallo. Però era l’artigianato in generale che mi piaceva. Mia nonna materna raccontava sempre, con orgoglio e vanto, di avere ritrovato in un ripostiglio, i giocattoli in legno che mi ero costruito da me, un’estate che avevo trascorso a casa sua.

Il sabato notte, quando rientrammo dalla festa, Simona ci aspettava. Lei aveva già cenato ma ci aveva lasciato qualcosa in caldo. Mentre cenavamo Michele le raccontò con entusiasmo di come ero stato abile nel condurre numerose trattative con i turisti di diverse nazionalità e di come avevo convinto una riccona libica, ad acquistare un porta gioie per centocinquantamila lire! Io cercai di sminuire i suoi racconti ma il suo entusiasmo era alle stelle. Lessi negli occhi di Simona una nota di riconoscenza. Era contenta di vedere suo fratello così contento.

Il lunedì successivo si mise a lavorare in laboratorio di buona lena.

Le vendite del fine settimana lo avevano gasato. C’erano altre feste e altre fiere in estate e lui voleva approfittarne per farsi un po’ di soldi.

La sera Simona insisté per accompagnarmi in macchina sino a Bracciano, a casa di un amico, dove avevo lasciato i miei bagagli. Michele preferì stare a lavorare e promise che ci avrebbe preparato la cena.

Simona durante il viaggio mi disse che il mio arrivo aveva migliorato l’umore di suo fratello.

« Non ho fatto niente di speciale» le dissi sminuendo il mio ruolo. In effetti non sentivo di aver fatto niente di speciale. Ero stato soltanto me stesso, con semplicità e sincerità.

Indossava una gonna lunga, di quelle che si usavano in quegli anni, in certi ambienti, con i bottoni sino alle caviglie, che però, abbottonata soltanto nella parte superiore, adesso le lasciava scoperta una bella porzione delle belle gambe bianche. Per non fissarmi in quella direzione le chiesi qualcosa di lei, cercando di guardare il bel paesaggio che fuori si snodava a fianco del finestrino della sua piccola due cavalli.

Non si può dire che fosse una grande chiacchierona. O forse ero io, quello che doveva parlare; almeno quella sera. Infatti, dopo un po’ mi fece una domanda. Mi suonò come se tutto quello che ci eravamo detti prima, fosse stato soltanto un prologo, una sorta di riscaldamento preparatorio.

«Mi ha detto che Michele che sei un amico di Donato Catinari».

«Sì. Ci siamo conosciuti a Londra, un paio d’anni fa. Di passaggio qui a Roma, mi è venuto il desiderio di passare a salutarlo…»

«Davvero? E che facevate a Londra?»

«L’ultima volta che l’ho visto a Londra, vendeva degli specchi a Carnaby Street. Ma sapevo che aveva deciso di rientrare in Italia. Un amico comune, un certo Giampiero, più tardi mi confermò che aveva lasciato la sua ragazza e ogni altra cosa, per tornarsene a Roma.»

Forse aspettava che io continuassi, ma in realtà avevo già finito quello che dovevo dire.

«E’ anche amico tuo, Donato?» , le chiesi a mia volta.

«No, no!» - si affrettò a rispondere- «So molto poco di lui. Esattamente quel poco che mi ha saputo dire Michele. A quanto pare è più un amico di amici. Neanche mio fratello sembra sapere esattamente di cosa si occupi.»

Colsi nella sua voce un accento di ansia, come se fosse preoccupata per qualcosa. Quasi mi avesse letto nel pensiero aggiunse, subito dopo.

«Da quando sono morti i nostri genitori, ho cercato di proteggerlo, come ho potuto. Il mondo è pieno di pericoli; e lui ha risentito più di me della loro morte; è sempre stato un ragazzo molto sensibile…»

«Ti preoccupa il fatto che fumi?» le chiesi, sentendomi in colpa, per l’apprensione di quella sorella materna.»

«Magari fosse il per il fumo! Ma ti pare? » scappò detto, ridendo di gusto, a Simona.

Quella risata sembrò liberarci da dei discorsi che non avevano avuto, a parer mio, un flusso troppo naturale; e neanche scorrevole.

Io mi sentii più tranquillo per il fatto che Simona non si fosse mostrata ostile al fumo. Mi piaceva fumare, ma capivo che per certe persone potesse costituire un problema avere a che fare con quella roba. Non era, di tutta evidenza, il caso di Simona. Doveva esserci sotto dell’altro, ma lei preferì lascia cadere il discorso.

Al ritorno, recuperati i miei bagagli, ascoltammo in silenzio la musica della radio.

Io capii che Simona voleva stare in silenzio. Anche a me piaceva quel silenzio, che permetteva ai nostri pensieri di fluttuare nell’aria, senza scontrarsi, come invece succede quando si discorre, spesso a causa di fraintendimenti, o di pensieri espressi in maniera oscura; o magari troppo chiaramente.

Michele era stato di parola. La cena che aveva preparato fu gradevole. Anche Simona mi sembrò più rilassata. Dopo cena Michele ci mostrò le sue ultime creazioni. Stemmo fuori, nel giardino a parlare e a fumare a lungo. Simona fu la prima a ritirarsi. Quando venne a darci la buonanotte mi disse che mi aveva preparato il divano (che io disfacevo ogni mattina, piegando le lenzuola e riponendole, con il cuscino, sulla seduta) per la notte.

Era la prima volta che mi usava quella cortesia. Michele la ringraziò da parte mia, ma lei rispose al mio sguardo di riconoscenza con un’espressione enigmatica, che poteva voler dire tutto e il contrario di tutto.

lunedì 8 agosto 2022

Profeti, politici e cialtroni




Recentemente ho rivisto in TV il concerto "La notte di Vasco".
Ho ripensato ai concerti ai quali in passato ho preso parte in prima persona. 
Mi sono rivisto in mezzo alla folla oceanica, con le mani al cielo, cantando a squarciagola, ballando e muovendo la testa e il corpo a suon di musica.
Non si vivono quattro decenni di successo per caso. Vasco ha incarnato i sogni e il malessere di più di una generazione. Certo il suo successo è da attribuire anche ai grandi musicisti che lo accompagnano sul palco.
Ma i suoi musicisti veicolano sulle splendide note di chitarre, ottoni, tastiere e percussioni i testi che incarnano i sogni e le fantasie dei giovani di ieri e di oggi. Che poi sono i sogni di coloro che ritrovano se stessi più nei riff di un chitarrista e negli assolo di un clarinetto che in un mondo incapace di trasmettere emozioni.
Una fuga dalle banalità di un mondo materialista, fondato sul consumismo, che ha perso nella massificazione delle menti, delle notizie e delle vite votate alla produzione e al consumo, in nome del dio quattrino e di Giove PIL, ogni sensibilità spirituale.
E l'uomo senza spirito non sa vivere, sente che gli manca qualcosa; qualcosa che egli recupera in quei versi strazianti che parlano di libertà, di solitudine, di uno straniamento che è anche e soprattutto ribellione a ogni consuetudine e perbenismo.
Qualcuno un giorno ha detto che non si vive di solo pane.
Se a qualcuno non piace Vasco Rossi dovrebbe ricordarsi che senza spirito si vive male e si cade inevitabilmente prigionieri di profeti e duci che non sempre guidano al bene.
Ma chi l'ha detto che ai nostri politici e ai governi del mondo interessi il benessere spirituale dei cittadini?
Abbandonare il materialismo in nome dei veri profeti comporterebbe rinunciare al potere dei soldi e delle poltrone facili. 
Meglio aggrapparsi alla materia e al potere lasciando che i sudditi governati sfoghino il loro bisogno spirituale appresso ai profeti fasulli di turno, magari affogati in qualche sorta di sostanza che li alteri un po' sino a dimenticare, almeno per una sera, la fatica di vivere una vita senza senso e senza valori.
Ma è meglio seguire un profeta, ancorché cialtrone, oppure un duce ancora più cialtrone?
Se fossi giovane non avrei dubbi: sceglierei un profeta cialtrone.
E fra i profeti cialtroni che questa moribonda democrazia ci consente di ascoltare, credo che Vasco Rossi non sia certo il peggiore.

sabato 6 agosto 2022

Meglio Tex Willer o Perry Mason?

 


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Capitolo Secondo

 

Il lunedì successivo era festa nazionale, ma sui giornali la vicenda dell’assassinio con il coltello in mano aveva continuato a spiccare tra i titoli in evidenza. Continuava a suscitare clamore e interesse una vicenda che aveva visto soccombere una signora anziana per mano di un suo giovane nipote. Tra i lettori dell’Opinione, soprattutto, si contavano numerose le persone anziane assistite da parenti più giovani oppure da personale esterno. A tenere viva la notizia era stata l’emittente Selen TV, che faceva da traino alla versione cartacea del quotidiano, con numerosi e frequenti dibattiti televisivi, ai quali venivano invitati cittadini comuni ed esperti di varia provenienza.

Anche il secondo lunedì del mese il fattaccio del coltello insanguinato teneva banco. Il commissario De Candia trovò il bar di Tonio ancora in grande subbuglio.

«Ha visto dottore le ultime sul caso dell’assassino con il coltello in mano?» gli disse Tonio accennando al giornale che aveva appena aperto, mentre gli portava la colazione, calda e fumante.

Il commissario andò a leggere le pagine interne della cronaca e a momenti gli andava di traverso il boccone di croissant che aveva appena addentato.

Una foto dell’avvocato Levi capeggiava a centro pagina.


La notizia eclatante era che l’assassino con il coltello in mano era stato scarcerato dal Tribunale della Libertà del capoluogo, su ricorso dell’avv. Luisa Levi.

La donna era una vecchia conoscenza del commissario, vedovo da tempo, che l’aveva incrociata



all’inizio per motivi professionali, in occasione di altre indagini per casi di omicidio.

Le loro opposte posizioni investigative, lui dalla parte del delegato per le indagini della procura, lei come avvocato difensore dell’indagato, non avevano impedito la nascita di  una reciproca stima, dalla quale era poi scaturita una discreta relazione alla quale nessuno dei due aveva voluto attribuire un nome, ma che sembrava incardinarsi in qualcosa di più di una sequela, apparentemente occasionale ed episodica, di incontri connotati da una forte e reciproca passionalità.

Poi quel flusso empatico si era bruscamente interrotto. Senza una ragione apparente, gli era sembrato che lei non volesse più farsi trovare. O forse era stato lui che non l’aveva cercata abbastanza.

Qualcosa era però rimasto in sospeso, inespresso, involuto, almeno nell’animo del commissario. Quel qualcosa che, assopito e sotto traccia, si era risvegliato all’improvviso, di fronte a quella fotografia sul giornale.

Quella donna era davvero un diavolo in gonnella, pensò il commissario.

Come aveva fatto ad ottenere la scarcerazione dell’assassino con il coltello insanguinato in mano?

Gli avventori del bar di Tonio sembravano scatenati.

«Com’era possibile? »

«Ma dove arriveremo, se si liberavano perfino gli assassini colti in flagranza di reato? »

«Possibile che la giustizia abbia reso le armi di fronte alla delinquenza? »

«L’Italia è ormai un paese senza speranza.»

Il commissario uscì dal bar con un senso di liberazione. Un altro po’ e ci sarebbe stata, ne era certo,  l’immancabile invocazione all’Uomo Forte. Il Risolutore, un uomo soltanto al comando, capace di raddrizzare le storture di una democrazia fasulla e, magari, di fare arrivare i treni in orario!