domenica 26 novembre 2023

Delitto al Quadrivio - 13



Capitolo Sesto

Il lunedì successivo all’omicidio l’Opinione riprendeva e rilanciava la notizia a tutta pagina. Il titolo annunciava che i segni dello strangolamento erano compatibili con l’utilizzo di un cappio o di una cordicella. Ma il titolo, come al solito, non rispecchiava il contenuto del pezzo.

Il commissario De Candia apprese infatti, mentre tentava di sorseggiare il suo cappuccino bollente nel solito Bar da Tonio, che in seguito all’autopsia era stato asseverato che nei polmoni della vittima non erano state rinvenute tracce di iodio. Indi per cui l’omicidio non era stato commesso nel luogo di ritrovamento del cadavere ma, come evidenziato dall’avvocato Luisa Levi nel ricorso al Tribunale della Libertà, in altro loco. Dal luogo di effettiva consumazione del delitto, continuava il ragionamento del difensore nel ricorso, il cadavere era stato trasportato e abbandonato in un tratto di spiaggia nei pressi dell’ex Ristorante-Pizzeria Il Quadrivio.

La vera notizia era che veniva a cadere tutto l’apparato accusatorio della Procura, che si basava sull’incontro casuale tra vittima e assassino, avvenuto sul lungomare del Poetto e sul diverbio che, scoppiato tra i due, aveva spinto l’assassino all’efferato omicidio.

Anche i tempi del ritrovamento del corpo apparivano incompatibili e contraddetti dalla ricostruzione dell’omicidio fatta dalla Procura. Il ritrovamento del corpo era stato fatto alle 22,30. Ma verso le due del mattino il rigor mortis era quasi terminato e quindi dovevano essere trascorse almeno dieci ore dalla morte. Dove era rimasto in quelle sette ore il corpo della povera vittima? A che ora era giunto sul lungomare e come? Tutte domande ancora senza risposte, era l’incalzante finale dell’articolista, che aveva fatto in fretta a scendere dal carro della Procura e salire su quello della Difesa.

In un’intervista, nelle pagine interne, l’avvocato Levi spiegava che sin da subito aveva ritenuto inverosimile la ricostruzione operata dagli inquirenti.

Infatti, spiegava il legale, la vittima indossava un abito elegante e delle scarpe a tacco alto, senza scialle o giacca al seguito. Nella borsetta non erano state rinvenute né le chiavi di casa, né le chiavi della macchina. Ora, chiosava il legale con logica incalzante, come era possibile che il presunto assassino che, non dimentichiamolo, era stato fermato nell’immediatezza del ritrovamento, proprio mentre si svolgevano le operazioni peritali sul cadavere, non avesse con sé neanche un oggetto della vittima? E come mai nella borsetta vi erano invece il portafoglio, con dei contanti, le carte di credito e altri oggetti di valore? La risposta logica era che il delitto doveva per forza essere stato commesso da un’altra parte e non nel luogo del ritrovamento. Per questi ed altri motivi il Tribunale della Libertà aveva ordinato l’immediata scarcerazione dell’indiziato.

Elegantemente il legale non aveva fatto cenno agli evidenti svarioni dei cosiddetti inquirenti.

L’Opinione, dal suo canto, si limitava a lodare l’avvocato difensore del presunto assassino (mai

come ora valeva per lui la presunzione di innocenza) senza ritornare sull’operato degli inquirenti (che avevano portato all’ingiusto arresto di un innocente) a suo tempo lodati come tempestivi e brillanti.

Al suo arrivo in Questura il Commissario si accinse a riesaminare tutti i fascicoli di omicidio che giacevano sulla sua scrivania (morti ingiuste, anch’esse, ma che meno risalto avevano trovato nella cronaca), ormai comunque ampiamente istruiti: il transessuale ucciso a Giorgino; il corpo dagli arti mancanti restituito dal mare; i due pastori uccisi nelle campagne di Dolianova; la farmacista uccisa in casa; la prostituta accoltellata in viale Po e il matricida tossicodipendente. Erano soltanto alcuni “dei casi di omicidio che avrebbero costituito oggetto di esame della riunione settimanale del suo team che comprendeva, oltre a lui, il sovrintendente Farci e l’ispettore Zuddas.

In previsione del periodico incontro, voleva capire quali altri atti essi necessitassero e stava

studiandoci sopra quando proprio Zuddas irruppe nel suo ufficio, dopo una bussatina veloce che soltanto i suoi più stretti collaboratori, nelle occasioni informali, potevano permettersi. L’ispettore Zuddas aveva in mano un foglio con tutta l’aria di un fax fresco di ricezione.«Notizia bomba, commissario!» esclamò l’ispettore brandendo proprio il foglio di carta lucida.
«Di che si tratta, Zuddas?», disse il commissario senza scomporsi, sollevando appena lo sguardo dalle sue carte – “Accomodati pure!”
«La Procura Generale ha inviato la delega per le indagini del delitto del Quadrivio!», disse Zuddas di un fiato, sedendosi di fronte al commissario e porgendogli il foglio appena faxato dalla Procura.

Il commissario diede uno sguardo al foglio e poi si accese una sigaretta offrendo il pacchetto al suo sottoposto.«Non mi tenti, commissario! Oggi è il mio trentesimo giorno di astinenza!»«Ah già, è vero! Scusami Zuddas, mi ero scordato che hai deciso di smettere…»
«Per ora, commissario!» – disse Zuddas che, per scaramanzia e per orgoglio (nel caso avesse ripreso a fumare controvoglia) non aveva fatto dichiarazioni eclatanti e ancor meno trionfanti sulla dismissione dell’odiato, ma anche amato, vizio del fumo.
«Hai capito il grande capo?» – disse il commissario riprendendosi il pacchetto con la mano libera- “Quando ci sono interviste e televisioni per millantare risoluzioni fantasiose è sempre in prima linea! Quando invece ci sono da consumare il fondo dei pantaloni e le suole delle scarpe, avanti Savoia!»
“Arma capere, alios pro mittere ad bellum!” – interpose Zuddas, il quale aveva tutto un repertorio di massime latine, retaggio dei suoi passati studi classici, che citava regolarmente e non sempre a proposito!
«Eh va beh!» – disse il commissario, levandosi in piedi, con un sospiro di rassegnazione, «era destino che la nostra riunione settimanale ladovessimo fare su sette fascicoli e non su sei!»
«Ma questo mi sa che li vale tutti insieme o sbaglio?»
«Beh, a sentir certi giornali…!»

Così dicendo il commissario De Candia si avviò verso l’uscita.«Se mi cercano sono a Palazzo dal procuratore!»
«Comandi, commissario!», rispose Zuddas con cortesia.
«Non torno in ufficio. Se hai urgenza, chiamami al cellulare».
«D’accordo commissario. La chiamo solo se è necessario, dato che io resto qui sino a fine turno!»
«Ah, fammi il favore! Dai uno sguardo a quei sei fascicoli e poi sistemali in un faldone per la riunione settimanale!»
«Ci conti commissario!»
«Grazie Zuddas! E avvisa anche Farci delle novità, ricordandogli della riunione! E per domani giusto!?»
«Giustissimo commissario! Proprio domani!»«A presto allora! Domani ti faccio sapere del mio incontro di oggi in Procura!» – aggiunse De Candia infine lasciando l’ufficio.
«A domani commissario! E cave canem!»

continua…

giovedì 16 novembre 2023

Delitto al Quadrivio - 9

 

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-        «No, avvocato. Se lo avessi fatto non avrei mai chiamato la pula e meno che mai mi sarei trattenuto in zona col mio cane.»

Prima di andare a letto, e dopo avere predisposto al computer il Modulo di Nomina, indispensabile per formalizzare la sua posizione   come difensore di fiducia, l’avvocato Levi aveva fatto una ricerca negli archivi elettronici e sulle banche dati a disposizione del suo studio e della rete, scoprendo che il suo assistito era stato condannato circa quindici anni prima a otto anni di reclusione per rapina a mano armata (ma ne aveva scontato soltanto sei, in ragione della sua ottima condotta) a danni della Biglietteria del Teatro dell’Opera Cagliaritano.

Obiettivo della rapina pareva essere stato l’incasso della Prima della Stagione Operistica.

Il Garau era stato inchiodato dalla testimonianza di una violinista che lo aveva riconosciuto nonostante il suo travisamento. A incastrarlo erano stati in particolare alcuni segni distintivi, confermati poi dall’ impiegata della biglietteria, che la violinista aveva colto con insolita acutezza mentre, al momento dell’irruzione del malvivente, si trovava presso la biglietteria per ritirare due biglietti che aveva prenotato per certi suoi ospiti.

La violinista era stata colpita in particolare dal colore degli occhi del rapinatore, insolitamente diversi tra loro. Uno era castano, l’altro verde “caratteristica che si riscontra nella popolazione sarda con una percentuale inferiore a uno su mille”, aveva chiosato il Pubblico Ministero nella sua requisitoria al processo che aveva appassionato l’opinione pubblica. La malformazione del mignolo della mano sinistra e un tatuaggio sul polso della stessa mano, che si erano evidenziati nel momento in cui il rapinatore aveva allungato la mano per prendere i soldi che la bigliettaia, con mano tremante, gli porgeva,  avevano portato alla sua definitiva identificazione.

In carcere Gino Garau aveva studiato e si era laureato in psicologia. Da molti anni lavorava come assistente nella Comunità “El Ziggurat”, un centro sociale che si occupava del recupero di tossicodipendenti, alcolisti ed ex carcerati.  Il fondatore Don Costantino Sanna, sacerdote e anche lui psicoterapeuta, era convinto che chiunque potesse essere restituito alla vita, anche se non tutti erano disposti a farsi recuperare.

Gino Garau era la dimostrazione lampante di come gli ideali di un prete sognatore potessero realizzarsi.

Dopo avere sottoscritto la sua nomina, trasformandola da difensore d’ufficio a difensore di fiducia, Gino Garau raccontò all’avvocato Levi la sua versione dei fatti.

La sera prima si era recato al Poetto per la solita passeggiata notturna col suo cane, un pastore tedesco di nome Tex.

 A un certo punto si erano imbattuti in un cadavere, in un tratto di spiaggia a ridosso del vecchio Quadrivio, che lei sicuramente conosceva. Aveva pensato che fosse il suo dovere chiamare il 112.

In seguito la sfortuna aveva voluto che ad accorrere per il sopralluogo fosse un certo maresciallo Camboni, lo stesso che una quindicina d’ anni prima, quando era ancora brigadiere, lo aveva arrestato per una vecchia storia, per la quale aveva già saldato il conto alla giustizia.

Lo stesso Camboni, riconosciutolo tra la folla di curiosi, lo aveva poi sottoposto a fermo, tramutatosi poi in arresto per volontà del procuratore della repubblica.

-        «Lei mi conferma quello che io ho già intuito. La ricostruzione fatta dalla Procura e dai Carabinieri non mi ha convinto molto sin dal primo momento e dopo aver parlato con lei mi convince anche meno!»

-        «La ringrazio avvocato. Comunque anche la ricostruzione fatta dal quotidiano ‘L’Opinione’ è alquanto fantasiosa.»

-        «Di quella non faccia alcun conto. Nel dibattimento, semmai ci arrivassimo, perché io conto di smontare anche prima questo castello di sabbia che hanno messo in piedi, gli articoli dell’Opinione contano quanto il due di picche, quando la briscola è a denari!»

Gino Garau si fece scappare un mezzo sorriso. Nessuno si aspettava che una donna conoscesse la briscola.

-         «Dov’è il suo cane adesso?» – gli chiese l’avvocato restando seria.

-        «Ho pregato i Carabinieri che lo portassero a Settimo San Pietro, nella Comunità ‘El Ziguratt’che lo affidassero a don Costantino. Io lavoro e vivo là da quando ho lasciato il carcere, l’altra volta».

L’avvocato notò una nota particolarmente dolente nella voce di Gino Garau.

    «Contatti don Costantino appena possibile e si assicuri per favore che il mio Tex sia con lui. E lo rassicuri anche sulla mia buona fede e sulla mia innocenza. Lui e il mio cane sono tutto ciò mi rimane.

 In particolare don Costantino mi ha restituito la dignità, un lavoro e la voglia di vivere in un momento in cui ero davvero solo, senza più genitori, né affetti e senza più amici.»

-        «Non dubiti. Questo pomeriggio stesso, dopo che avrò finito i miei incombenti in Procura, mi recherò da lui. Ci rivedremo presto per l’interrogatorio di garanzia. Le suggerisco sin d’ora di avvalersi della facoltà di non rispondere, almeno sino a quando non si sarà svolta l’autopsia. Poi ne riparleremo e studieremo insieme la migliore strategia».

 

fine capitolo terzo. continua...