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- «No, avvocato. Se lo avessi fatto non avrei mai chiamato la pula e meno che mai mi sarei trattenuto in zona col mio cane.»
Prima
di andare a letto, e dopo avere predisposto al computer il Modulo di Nomina,
indispensabile per formalizzare la sua posizione come difensore di fiducia, l’avvocato Levi
aveva fatto una ricerca negli archivi elettronici e sulle banche dati a disposizione
del suo studio e della rete, scoprendo che il suo assistito era stato
condannato circa quindici anni prima a otto anni di reclusione per rapina a
mano armata (ma ne aveva scontato soltanto sei, in ragione della sua ottima
condotta) a danni della Biglietteria del Teatro dell’Opera Cagliaritano.
Obiettivo
della rapina pareva essere stato l’incasso della Prima della Stagione
Operistica.
Il
Garau era stato inchiodato dalla testimonianza di una violinista che lo aveva
riconosciuto nonostante il suo travisamento. A incastrarlo erano stati in
particolare alcuni segni distintivi, confermati poi dall’ impiegata della
biglietteria, che la violinista aveva colto con insolita acutezza mentre, al
momento dell’irruzione del malvivente, si trovava presso la biglietteria per
ritirare due biglietti che aveva prenotato per certi suoi ospiti.
La
violinista era stata colpita in particolare dal colore degli occhi del
rapinatore, insolitamente diversi tra loro. Uno era castano, l’altro verde “caratteristica
che si riscontra nella popolazione sarda con una percentuale inferiore a uno su
mille”, aveva chiosato il Pubblico Ministero nella sua requisitoria al
processo che aveva appassionato l’opinione pubblica. La malformazione del
mignolo della mano sinistra e un tatuaggio sul polso della stessa mano, che si
erano evidenziati nel momento in cui il rapinatore aveva allungato la mano per
prendere i soldi che la bigliettaia, con mano tremante, gli porgeva, avevano portato alla sua definitiva
identificazione.
In
carcere Gino Garau aveva studiato e si era laureato in psicologia. Da molti
anni lavorava come assistente nella Comunità “El Ziggurat”, un centro
sociale che si occupava del recupero di tossicodipendenti, alcolisti ed ex
carcerati. Il fondatore Don Costantino
Sanna, sacerdote e anche lui psicoterapeuta, era convinto che chiunque potesse
essere restituito alla vita, anche se non tutti erano disposti a farsi
recuperare.
Gino
Garau era la dimostrazione lampante di come gli ideali di un prete sognatore
potessero realizzarsi.
Dopo
avere sottoscritto la sua nomina, trasformandola da difensore d’ufficio a
difensore di fiducia, Gino Garau raccontò all’avvocato Levi la sua versione dei
fatti.
La
sera prima si era recato al Poetto per la solita passeggiata notturna col suo
cane, un pastore tedesco di nome Tex.
A un certo punto si erano imbattuti in un
cadavere, in un tratto di spiaggia a ridosso del vecchio Quadrivio, che lei
sicuramente conosceva. Aveva pensato che fosse il suo dovere chiamare il 112.
In
seguito la sfortuna aveva voluto che ad accorrere per il sopralluogo fosse un
certo maresciallo Camboni, lo stesso che una quindicina d’ anni prima, quando
era ancora brigadiere, lo aveva arrestato per una vecchia storia, per la quale
aveva già saldato il conto alla giustizia.
Lo stesso Camboni, riconosciutolo tra la folla di curiosi, lo aveva poi sottoposto a fermo, tramutatosi poi in arresto per volontà del procuratore della repubblica.
-
«Lei mi conferma quello che io ho già
intuito. La ricostruzione fatta dalla Procura e dai Carabinieri non mi ha
convinto molto sin dal primo momento e dopo aver parlato con lei mi convince
anche meno!»
-
«La ringrazio avvocato. Comunque anche la
ricostruzione fatta dal quotidiano ‘L’Opinione’ è alquanto fantasiosa.»
-
«Di quella non faccia alcun conto. Nel
dibattimento, semmai ci arrivassimo, perché io conto di smontare anche prima
questo castello di sabbia che hanno messo in piedi, gli articoli dell’Opinione
contano quanto il due di picche, quando la briscola è a denari!»
Gino Garau si fece scappare un mezzo
sorriso. Nessuno si aspettava che una donna conoscesse la briscola.
-
«Dov’è il suo cane adesso?» – gli chiese
l’avvocato restando seria.
- «Ho pregato i Carabinieri che lo portassero a Settimo San Pietro, nella Comunità ‘El Ziguratt’ e che lo affidassero a don Costantino. Io lavoro e vivo là da quando ho lasciato il carcere, l’altra volta».
L’avvocato notò una nota
particolarmente dolente nella voce di Gino Garau.
«Contatti
don Costantino appena possibile e si assicuri per favore che il mio Tex sia con
lui. E lo rassicuri anche sulla mia buona fede e sulla mia innocenza. Lui e il
mio cane sono tutto ciò mi rimane.
In particolare don Costantino mi ha restituito la dignità, un lavoro e la voglia di vivere in un momento in cui ero davvero solo, senza più genitori, né affetti e senza più amici.»
-
«Non dubiti. Questo pomeriggio stesso,
dopo che avrò finito i miei incombenti in Procura, mi recherò da lui. Ci
rivedremo presto per l’interrogatorio di garanzia. Le suggerisco sin d’ora di
avvalersi della facoltà di non rispondere, almeno sino a quando non si sarà
svolta l’autopsia. Poi ne riparleremo e studieremo insieme la migliore
strategia».
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