domenica 10 luglio 2022

La Polizia di Cagliari indaga-9

 

«Il mio assistito mi ha detto che la teneva nel primo cassetto del comò, in camera da letto, tra la biancheria intima.»

«È uno dei primi posti dove ho cercato, ma non sono riuscito a trovarla, né lì né altrove. Ma mi sa tanto che la settimana prossima ci torno e cerco meglio» disse ancora il commissario sempre con quel tono distante, come se parlasse per conto suo.

«Se vuoi ci torniamo insieme. E l’apriamo con la chiave di Alessandro. Dammi soltanto il tempo di chiedergli di portamela in studio al più presto possibile.»

«Davvero ne ha una copia il tuo assistito? Caspita, questa sì che è una buona notizia! Mi evita un sacco di rogne di autorizzazioni per chiamare un fabbro e per fare scardinare la cassaforte!»

«Il mio assistito godeva della massima fiducia da parte della zia, al punto che la donna ultimamente aveva provveduto a fargli una delega sul conto corrente bancario dove le accreditavano la pensione e, spesso, lo incaricava di fare dei prelievi, per suo conto, direttamente in banca oppure con la carta del bancomat.»

Intanto, mentre parlavano, avevano lasciato la strada statale e si erano immessi in quella provinciale per San Gavino. Da lì, arrivati a Guspini, non sarebbero stati distanti da Gennas Serapis, altrimenti nota come Montevecchio, l’antico borgo minerario, dove c’era una parte significativa delle radici più recenti di Santiago De Candia.

E mentre procedevano verso la loro meta, Luisa Levi apprese, senza quasi mai interromperlo, come il nonno paterno del commissario, Nicola De Candia, giovane e brillante perito minerario barese, assunto dalle Miniere di Montevecchio degli Eredi Sanna, subito dopo la Grande Guerra si fosse insediato nel borgo minerario. E come, poco tempo dopo, avesse conosciuto a Buggerru, dove si era recato per assistere a uno spettacolo teatrale, una graziosa fanciulla, di nome Ines Orcel, che scoprì essere la figlia


di un suo collega francese che lavorava per la Societé des mines de Malfidano, che a Buggerru aveva la sua sede operativa, e della quale si era innamorato praticamente a prima vista. E in che modo riuscisse a conquistarla, dopo serrata corte. Favorito in ciò da alcune conoscenze comuni che gli consentirono di vincere la diffidenza che il padre di lei nutriva verso i non francesi. E soprattutto aiutato dalla madre di lei, una donna spagnola della Estremadura, che in quei paesaggi selvaggi della Sardegna e in quel popolo chiuso e tenace, rivedeva probabilmente la sua terra d’origine e i suoi stessi avi. In realtà, il nonno del commissario, Nicola De Candia, di sardo aveva soltanto  l’amore e la riconoscenza verso la terra che lo aveva accolto, dandogli lavoro e rispettabilità.

Nella parte conclusiva del viaggio, proprio mentre il loro fuoristrada, lasciandosi Guspini alle spalle, cominciava a inerpicarsi sulla larga salita che conduce al vecchio borgo minerario, l’avvocato Luisa Levi inoltre  apprese  come dalla coppia fosse nato il papà del commissario, Salvatore De Candia. Il quale, dopo aver prestato il servizio militare, innamoratosi di una diciassettenne di nome Regina Serru, figlia di un guardiano minerario, già comandante della compagnia barraccellare guspinese, fosse passato nei ranghi della polizia di stato, trasmettendogli, congiuntamente al nonno materno, quella passione per l’ordine e la disciplina che Santiago aveva saputo rielaborare in quella sua maniera fantasiosa e originale che lo caratterizzava. Luisa aveva ascoltato la storia del commissario, come da piccola aveva imparato ad ascoltare le favole che il papà le raccontava prima di addormentarsi.

Erano da poco passate le undici quando il commissario parcheggiò la sua auto di fronte a un edificio che un tempo aveva ospitato il centro vitale dell’antico borgo minerario, con l’Ufficio Postale, la Caserma dei Carabinieri, lo Spaccio Aziendale e, poco più avanti anche il cinematografo. E dove adesso resisteva ancora un bar, in cui poterono rinfrescarsi prima di iniziare la passeggiata a piedi che Luisa accettò di fare con entusiasmo.

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