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Capitolo Sesto
Il lunedì
successivo all’omicidio l’Opinione riprendeva e rilanciava la notizia a tutta
pagina. Il titolo annunciava che i segni dello strangolamento erano compatibili
con l’utilizzo di un cappio o di una cordicella. Ma il titolo, come al solito,
non rispecchiava il contenuto del pezzo.
Il commissario De
Candia apprese infatti, mentre tentava di sorseggiare il suo cappuccino
bollente nel solito Bar da Tonio, che in seguito all’autopsia era stato
asseverato che nei polmoni della vittima non erano state rinvenute tracce di
iodio. Indi per cui l’omicidio non era stato commesso nel luogo di ritrovamento
del cadavere ma, come evidenziato dall’avvocato Luisa Levi nel ricorso al
Tribunale della Libertà, in altro loco. Dal luogo di effettiva consumazione del
delitto, continuava il ragionamento del difensore nel ricorso, il cadavere era
stato trasportato e abbandonato in un tratto di spiaggia nei pressi dell’ex
Ristorante-Pizzeria Il Quadrivio.
La vera notizia
era che veniva a cadere tutto l’apparato accusatorio della Procura, che si
basava sull’incontro casuale tra vittima e assassino, avvenuto sul lungomare
del Poetto e sul diverbio che, scoppiato tra i due, aveva spinto l’assassino
all’efferato omicidio.
Anche i tempi del ritrovamento del corpo apparivano incompatibili e contraddetti dalla ricostruzione dell’omicidio fatta dalla Procura. Il ritrovamento del corpo era stato fatto alle 22,30. Ma verso le due del mattino il rigor mortis era quasi terminato e quindi dovevano essere trascorse almeno dieci ore dalla morte. Dove era rimasto in quelle sette ore il corpo della povera vittima? A che ora era giunto sul lungomare e come? Tutte domande ancora senza risposte, era l’incalzante finale dell’articolista, che aveva fatto in fretta a scendere dal carro della Procura e salire su quello della Difesa.
In un’intervista,
nelle pagine interne, l’avvocato Levi spiegava che sin da subito aveva ritenuto
inverosimile la ricostruzione operata dagli inquirenti.
Infatti, spiegava
il legale, la vittima indossava un abito elegante e delle scarpe a tacco alto,
senza scialle o giacca al seguito. Nella borsetta non erano state rinvenute né
le chiavi di casa, né le chiavi della macchina. Ora, chiosava il legale con logica
incalzante, come era possibile che il presunto assassino che, non
dimentichiamolo, era stato fermato nell’immediatezza del ritrovamento, proprio
mentre si svolgevano le operazioni peritali sul cadavere, non avesse con sé
neanche un oggetto della vittima? E come mai nella borsetta vi erano invece il
portafoglio, con dei contanti, le carte di credito e altri oggetti di valore?
La risposta logica era che il delitto doveva per forza essere stato commesso da
un’altra parte e non nel luogo del ritrovamento. Per questi ed altri motivi il
Tribunale della Libertà aveva ordinato l’immediata scarcerazione
dell’indiziato.
Elegantemente il legale non aveva fatto cenno agli evidenti svarioni dei cosiddetti inquirenti.
L’Opinione, dal
suo canto, si limitava a lodare l’avvocato difensore del presunto assassino
(mai come ora valeva per lui la presunzione di innocenza) senza ritornare
sull’operato degli inquirenti (che avevano portato all’ingiusto arresto di un
innocente) a suo tempo lodati come tempestivi e brillanti.
Al suo arrivo in
Questura il Commissario si accinse a riesaminare tutti i fascicoli di omicidio
che giacevano sulla sua scrivania (morti ingiuste, anch’esse, ma che meno
risalto avevano trovato nella cronaca), ormai comunque ampiamente istruiti: il
transessuale ucciso a Giorgino; il corpo dagli arti mancanti restituito dal
mare; i due pastori uccisi nelle campagne di Dolianova; la farmacista uccisa in
casa; la prostituta accoltellata in viale Po e il matricida tossicodipendente.
Erano soltanto alcuni “dei casi di omicidio che avrebbero costituito oggetto di
esame della riunione settimanale del suo team che comprendeva, oltre a lui, il
sovrintendente Farci e l’ispettore Zuddas.
In previsione del
periodico incontro, voleva capire quali altri atti essi necessitassero e stava
studiandoci sopra quando proprio Zuddas irruppe nel suo ufficio, dopo una
bussatina veloce che soltanto i suoi più stretti collaboratori, nelle occasioni
informali, potevano permettersi. L’ispettore Zuddas aveva in mano un foglio con
tutta l’aria di un fax fresco di ricezione.
- «Notizia bomba, commissario!» esclamò l’ispettore brandendo proprio il foglio di carta lucida.
«Di
che si tratta, Zuddas?» disse il commissario senza scomporsi, sollevando appena
lo sguardo dalle sue carte – “Accomodati pure!”
-
«La
Procura Generale ha inviato la delega per le indagini del delitto del
Quadrivio!» disse Zuddas di un fiato, sedendosi di fronte al commissario e
porgendogli il foglio appena faxato dalla Procura.
Il commissario
diede uno sguardo al foglio e poi si accese una sigaretta offrendo il pacchetto
al suo sottoposto.
-
«Non
mi tenti, commissario! Oggi è il mio trentesimo giorno di astinenza!»
-
«Ah
già, è vero! Scusami Zuddas, mi ero scordato che hai deciso di smettere…»
-
«Per
ora, commissario!» – disse Zuddas che, per scaramanzia e per orgoglio (nel caso
avesse ripreso a fumare controvoglia) non aveva fatto dichiarazioni eclatanti e
ancor meno trionfanti sulla dismissione dell’odiato, ma anche amato, vizio del
fumo.
-
«Hai
capito il grande capo?» – disse il commissario riprendendosi il pacchetto con
la mano libera- “Quando ci sono interviste e televisioni per millantare
risoluzioni fantasiose è sempre in prima linea! Quando invece ci sono da
consumare il fondo dei pantaloni e le suole delle scarpe, avanti Savoia!!!”
-
“Arma
capere, alios pro mittere ad bellum!” – interpose Zuddas, il quale
aveva tutto un repertorio di massime latine, retaggio dei suoi passati studi
classici, che citava regolarmente e non sempre a proposito!”
- «Eh va beh!» – disse il commissario, levandosi in piedi, con un sospiro di rassegnazione- “era destino che la nostra riunione settimanale la dovessimo fare su sette fascicoli e non su sei!”
-
«Ma
questo mi sa che li vale tutti insieme o sbaglio?»
-
«Beh,
a sentir certi giornali…!»
Così
dicendo il commissario De Candia si avviò verso l’uscita.
-
«Se
mi cercano sono a Palazzo dal procuratore!»
-
«Comandi,
commissario!» rispose Zuddas con cortesia.
-
«Non
torno in ufficio. Se hai urgenza, chiamami al cellulare».
-
«D’accordo
commissario. La chiamo solo se è necessario, dato che io resto qui sino a fine
turno!»
-
«Ah,
fammi il favore! Dai uno sguardo a quei sei fascicoli e poi sistemali in un
faldone per la riunione settimanale!»
-
«Ci
conti commissario!»
-
«Grazie
Zuddas! E avvisa anche Farci delle novità, ricordandogli della riunione! E per
domani giusto!?»
-
«Giustissimo
commissario! Proprio domani!»
-
«A
presto allora! Domani ti faccio sapere del mio incontro di oggi in Procura!» –
aggiunse De Candia infine lasciando l’ufficio.
-
«A
domani commissario! E cave canem!»