giovedì 21 agosto 2025

Dominazione spagnola e lingua sarda

 



Studiando e parlando la nostra bella lingua sarda, soprattutto nelle sue principali varianti, il campidanese e il logudorese, mi sorprendo spesso a rinvenire nella sua trama più arcaica e nascosta, numerosi vocaboli che rimandano chiaramente alle nostre radici iberiche.

Com'è noto, la Spagna è un Paese multinazionale. Oltre ai Baschi e ai Galiziani, possiamo affermare che le due etnie numericamente più rilevanti sono quella castigliana e quella catalana. La prima sembrerebbe prevalere, in quanto ha dato al Paese l'attuale lingua ufficiale: il Castigliano che sbrigativamente tutti identifichiamo con lo Spagnolo tout court.

I primi spagnoli a giungere in Sardegna furono però i Catalani. E infatti nella lingua sarda le contaminazioni linguistiche più numerose sono proprie quelle catalane. Basti pensare a termini come mesa, ventana, bòvida, aguantai, agatai, pregonai, acciotai e tanti altri ancora, che della lingua di quei primi conquistatori, costituiscono un sicuro retaggio.

Quando si parla di dominazione spagnola in Sardegna, quindi, occorre tenere conto di come e quando siano arrivati da noi i dominatori iberici.

Formalmente il regno di "Sardegna e Corsica" venne assegnato dal papa Bonifacio VIII ai Catalano-aragonesi nel 1297.

Ma la dominazione spagnola in Sardegna, di fatto, inizia nel 1323, quando le truppe Catalane, guidate dall'infante Alfonso (figlio di Giacomo II d'Aragona) conquistarono Castel di Caller (cioè Cagliari), strappandola finalmente ai Pisani. La conquista fu definitiva e totale, estendendosi in tutto il territorio sardo, con la battaglia di Sanluri del 30 giugno 1409.

Qualcuno ancora oggi confonde la dominazione spagnola in Sardegna, che iniziò, lo ripeto, nel 1323, con l'istituzione della carica viceregia, che avvenne invece nel 1415 (come del resto fu anche in Sicilia e in Corsica). O forse si  fa erroneamente partire la dominazione spagnola proprio dal 1409 (ma questo è un errore alquanto marchiano; si leggano in proposito la pagine illuminanti di Francesco Cesare Casula in La Sardegna Aragonese - Voll2 - Edizioni Chiarella di Sassari; ma tutti gli altri studiosi sono concordi nel conteggiare in quattro secoli circa, la durata della dominazione spagnola in Sardegna).

Quando si parla di presenza spagnola in Sardegna, in conclusione, è giusto quindi parlare di quattro secoli di dominazione (e non di tre secoli).

Inoltre occorre tenere presente che la lingua ufficiale dei documenti fu quella spagnola castigliana sino a che i Savoia non ne decretarono l'abolizione il 25 luglio 1760, con un regio biglietto firmato dal Ministro per gli Affari di Sardegna, Giovanni Battista Lorenzo Bogino, il quale decretò che l’italiano diventasse l’unica lingua utilizzabile nelle scuole e nelle pubbliche istituzioni dell’isola.

giovedì 14 agosto 2025

Memorie di scuola

 



Quando ci dava i temi da svolgere (roba semplice, da bambini di seconda elementare) soleva premiare il migliore con una caramella di menta o d’anice. Erano delle caramelle strette e lunghe, avvolte in una carta verde e plasticata. Le ho riviste da poco, ma ovviamente non hanno lo stesso sapore di un tempo.

Il maestro Serra ci insegnava anche la bella grafia. Una volta mi portò in giro per le altre classi a mostrare come io vergassi la lettera “f”. Più che una “f”, la mia lettera minuscola della parola “fieno” pareva una vespa dal ventre gonfio; il maestro Aventino era così sorpreso dalla mostruosità di questa mia lettera che forse, portandomi in giro per le altre classi, voleva scoraggiare gli altri scolari dal commettere lo stesso abnorme errore. Forse.

Non saprei dire neanche oggi. In qualche modo mi fece sentire protagonista: nel bene o nel male non saprei davvero.

Di quell’anno scolastico 1961-1962 ricordo le canzoni di Mina, di Celentano, di Rita Pavone e di Fred Bongusto.

A Giorgino, a chiusura della colonia estiva, vennero organizzati una partita di calcio e un concorso canoro. Al concorso canoro arrivai secondo cantando la canzone “Una rotonda sul mare” di Fred Bongusto (il primo premio me lo strappò un ragazzo che cantava “Viva la pappa col pomodoro” di Rita Pavone, che allora spopolava in TV con Gian Burrasca).

Mentre alla partita di calcio la mia squadra perse perché “Truciolo” (purtroppo ricordo solo il suo soprannome), all’ultimo minuto, mi fregò la palla che stavo per infilare in rete e segnò dall’altra parte; ho dalla mia la scusante che giocavamo a piedi nudi e sulla sabbia.
...continua...

venerdì 1 agosto 2025

Memorie di scuola

 

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Seconda Elementare
Anno scolastico 1961-1962

In seconda elementare ci aspettava il fiocco celeste.

Invece a novembre arrivò la piena del fiume Mannu. La nostra casa, con negozio annesso, fatto di mattoni crudi (il famoso mattone chiamato in Sardo “ladiri”, un composto a crudo di argilla frammista a paglia), fu invasa dall’acqua.

Ricordo ancora la notte che le acque del fiume invasero la parte bassa del paese: una fila interminabile di ombre, più che di persone, di ogni età, una dietro l’altra, si recavano in processione verso la parte alta del paese; la notte avremmo trovato rifugio nell’asilo comunale di via Renzo Cocco (magistrato e  illustre compaesano); io ero con mia madre, che aveva in braccio mio fratello Alessio e che forse era già incinta di Gioachino (con Pina sarebbero stati gli ultimi tre figli di una catena di undici anelli, nati nell’arco temporale di 22 anni); gli sfollati invocavano San

Biagio (il santo patrono del paese), ma anche Santa Barbara e  San Giacomo (protettori, in coppia, delle genti sotto la tempesta),  qualcun altro invocava  sant’Isidoro; mia madre era devota della Madonna ed alle sue cure si affidava con fiducia e devozione anche in quell’occasione, come tante altre nella vita (comprese le ultime tre maternità, severamente sconsigliate dai medici ma da lei volute con assoluta convinzione), così intonò con le pie donne del paese l’Ave Maria in Sardo (Santa Maria, mamma de Deusu, prega po nosatrus peccadoris…).

E mentre pregava mia mamma, allora  incinta del penultimo dei miei fratelli  e con in braccio il terzultimo, guidava i più piccoli di noi verso l’asilo (uno dei ricoveri allestiti per gli sfollati, che si trovava appena sopra il cinema di Vittorio, dove la domenica gli uomini, con 100 lire e i ragazzi con sole 50 lire potevano assistere alla proiezione dei film  di Ursus, di Ercole o di Ringo prodotti a Cinecittà; oppure a quelli di Joselito o di Cantinflas, freschi dal Messico, ma doppiati in lingua italiana).

Mio padre, come tutti gli uomini, era rimasto indietro, aiutato dai figli più grandi, per salvare il salvabile.

Tra il salvabile mio padre aveva incluso, oltre alla merce e agli attrezzi da lavoro, messi al sicuro nel piano superiore della casa, anche le galline, che allora erano ospitate nel pollaio dello sterminato orto che si estendeva dietro la nostra casa (cinque dei miei fratelli vi hanno in seguito edificato ampie case singole, con annesso giardino di 300 mq; ed esiste ancora la vecchia casa padronale, con 400 mq di giardino annesso).

Ma purtroppo le galline morirono tutte; mio padre tentò di cucinarle, spacciandole per galline di macelleria, ma il loro sapore era così disgustoso che dovette mangiarsele praticamente da solo, perché  tutti ci rifiutammo di mangiarle; per punizione ci cucinò le fave ” a macco”, delle orribili fave secche, cucinate con bietola selvatica che a me non piacevano per niente (solo venti anni dopo scoprii di essere carente di un enzima, il G6PD  mi pare, che praticamente mi rendeva fabico, intollerante alle fave, con pericolo di morte in caso di consumo).

A salvarmi dalla carne delle galline morte annegate e dalle fave a macco ci pensò il Comune.

Per alleviare le famiglie colpite dal disastro ambientale i bambini di seconda elementare furono avviati in una sorta di colonia invernale organizzata a Giorgino dalle ACLI. Fu lì che conobbi il maestro Aventino Serra.

Il maestro Serra ci voleva bene. Era un vecchio maestro, di quelli di una volta.

continua...