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Seconda Elementare
Anno scolastico 1961-1962
In seconda elementare ci
aspettava il fiocco celeste.
Invece a novembre arrivò la piena
del fiume Mannu. La nostra casa, con negozio annesso, fatto di mattoni crudi
(il famoso mattone chiamato in Sardo “ladiri”, un composto a crudo di
argilla frammista a paglia), fu invasa dall’acqua.
Ricordo ancora la notte che le acque del fiume invasero la parte bassa del paese: una fila interminabile di ombre, più che di persone, di ogni età, una dietro l’altra, si recavano in processione verso la parte alta del paese; la notte avremmo trovato rifugio nell’asilo comunale di via Renzo Cocco (magistrato e illustre compaesano); io ero con mia madre, che aveva in braccio mio fratello Alessio e che forse era già incinta di Gioachino (con Pina sarebbero stati gli ultimi tre figli di una catena di undici anelli, nati nell’arco temporale di 22 anni); gli sfollati invocavano San
Biagio (il santo patrono del
paese), ma anche Santa Barbara e San Giacomo (protettori, in coppia,
delle genti sotto la tempesta), qualcun
altro invocava sant’Isidoro; mia madre era devota della Madonna ed alle
sue cure si affidava con fiducia e devozione anche in quell’occasione, come
tante altre nella vita (comprese le ultime tre maternità, severamente
sconsigliate dai medici ma da lei volute con assoluta convinzione), così intonò
con le pie donne del paese l’Ave
Maria in Sardo (Santa Maria, mamma de Deusu, prega po nosatrus peccadoris…).
E mentre pregava mia mamma, allora incinta del penultimo dei miei fratelli e con in braccio il terzultimo, guidava i più piccoli di noi verso l’asilo (uno dei ricoveri allestiti per gli sfollati, che si trovava appena sopra il cinema di Vittorio, dove la domenica gli uomini, con 100 lire e i ragazzi con sole 50 lire potevano assistere alla proiezione dei film di Ursus, di Ercole o di Ringo prodotti a Cinecittà; oppure a quelli di Joselito o di Cantinflas, freschi dal Messico, ma doppiati in lingua italiana).
Mio padre, come tutti gli uomini,
era rimasto indietro, aiutato dai figli più
grandi, per salvare il salvabile.
Tra il salvabile mio padre aveva
incluso, oltre alla merce e agli attrezzi da lavoro, messi al sicuro nel piano
superiore della casa, anche le galline, che allora erano ospitate nel pollaio
dello sterminato orto che si estendeva dietro la nostra casa (cinque dei miei
fratelli vi hanno in seguito edificato ampie case singole, con annesso giardino
di 300 mq; ed esiste ancora la vecchia casa padronale, con 400 mq di giardino
annesso).
Ma purtroppo le galline morirono tutte; mio padre tentò di cucinarle, spacciandole per galline di macelleria, ma il loro sapore era così disgustoso che dovette mangiarsele praticamente da solo, perché tutti ci rifiutammo di mangiarle; per punizione ci cucinò le fave ” a macco”, delle orribili fave secche, cucinate con bietola selvatica che a me non piacevano per niente (solo venti anni dopo scoprii di essere carente di un enzima, il G6PD mi pare, che praticamente mi rendeva fabico, intollerante alle fave, con pericolo di morte in caso di consumo).
A salvarmi dalla carne delle
galline morte annegate e dalle fave a macco ci pensò il Comune.
Per alleviare le famiglie colpite
dal disastro ambientale i bambini di seconda elementare furono avviati in una
sorta di colonia invernale organizzata a Giorgino dalle ACLI. Fu lì che conobbi
il maestro Aventino Serra.
Il maestro Serra ci voleva bene.
Era un vecchio maestro, di quelli di una volta.
continua...