Anno scolastico 1992-1993
Chissà come e perché (forse è vero che l’appetito vien mangiando), ma erano passati pochi anni da quando avevo vinto il concorso per insegnante delle scuole superiori, che già sognavo di fare il gran salto all’Università.Forse sarà stato un retaggio della mia gioventù da giramondo (l’attento lettore ricorderà come io avessi interrotto i miei viaggi soltanto provvisoriamente, per dar modo al mio buon vecchio, di liberarsi del fardello dei suoi affari e di come poi, invece, io restassi favorevolmente incastrato da una serie di coincidenze positive, rassegnandomi a non riprendere più quei miei viaggi solitari e, in fondo, spericolati, senza meta e senza costrutto). O magari saranno stati il mio ego smisurato e la mia giovanile esuberanza a spingere per un miglioramento di status economico e sociale; infine, forse, più verosimilmente, sarà stata la mia condizione di solitudine e il vuoto affettivo da riempire, o la sete di avventure, fatto sta che quando lessi di un concorso per ricercatore universitario bandito dall’Università di Trento, mi venne voglia di mettermi in gioco di nuovo e cimentarmi ancora in un concorso pubblico che, in caso di vittoria, mi avrebbe proiettato nel mondo accademico, dove finalmente avrei potuto appagare (così almeno ragionavo all’epoca) la mia infinita sete di conoscenza.
All’università avevo studiato il diritto tributario con il prof. Basciu, un autentico luminare della materia. Sapevo inoltre che non erano molti gli studiosi specializzati nella difficile materia, per cui quando lessi il bando dell’Università di Trento con cui si metteva a concorso un posto da ricercatore universitario per il diritto tributario feci subito la domanda.
Il profilo richiesto dal bando sembrava corrispondere al mio. Il concorso era per titoli e per esami. Gli esami consistevano in due scritti e un colloquio. Tra i titoli venivano considerati prioritari: l’essere titolare di una cattedra in discipline giuridiche ed economiche per vincita di concorso; l’avere superato l’abilitazione alla professione di procuratore legale (era il titolo che precedeva quello di avvocato e che io avevo già superato nel 1990); la conoscenza di una o più lingue straniere a livello professionale (io ne conoscevo anche allora almeno tre: l’inglese, lo spagnolo e il francese).
Prima di partire per Trento ebbi l’ispirazione di passare nella mia ex facoltà, quella di Giurisprudenza a Cagliari. Trovai un’impiegata gentile che mi diede alcune fotocopie con delle sentenze della Corte Costituzionale incentrate sulla figura dell’intendente di finanza (una figura che di lì a poco sarebbe scomparsa con l’istituzione delle Agenzie delle Entrate di livello provinciale che in pratica ne surrogarono le funzioni).
Prima di andar via mi imbattei nel segretario della presidenza ( che all'epoca era ancora il mio relatore alla tesi di laurea, il prof Pau, di cui ho già parlato, come ricorderà l’attento lettore) che si ricordava di me e mi accolse calorosamente. Si chiamava Lay, mi pare di ricordare, (con la ypsilon e non con la i finale) e non era sardo. “Chi ti porta?” – mi chiese dopo avere appreso che mi recavo a Trento a fare l’esame di ricercatore universitario.
Sul momento non capii. Soltanto dopo ripensai a quella strana domanda. “Torna domani!” mi disse con entusiasmo quando mi accommiatai da lui. Ci tornai dopo un paio di giorni, poco prima di partire. La sua accoglienza fu un po’ più dimessa e meno entusiastica rispetto a qualche giorno prima, anche se Lay non mancò comunque di essere cordiale. Mi fece semplicemente gli auguri, stringendomi la mano.
A Trento presi alloggio in un albergo del centro, non molto distante dalla sede ove dovevano svolgersi gli esami.
La vigilia del primo scritto mi svegliai alle quattro del mattino e non ci fu verso di riprendere sonno. Avevo con me il Manuale di diritto tributario dove avevo preparato l’esame dell’Università. Il suo autore era il Micheli , un altro luminare della materia.
Lo aprii a caso su un argomento abbastanza centrale e importante: “Il sostituto d’imposta”. Dato che il sonno non veniva mi lessi tutto l’argomento, dalla a alla zeta. Poi si fece l’ora di andare all’università. Mi preparai e dopo aver fatto colazione mi recai alla sede dove doveva svolgersi l’esame.
Eravamo sette candidati in tutto; tre, due uomini e una donna particolarmente giovane, venivano da Bari. Gli altri tre dal nord: forse Bologna, Piacenza e Bergamo, o qualcosa del genere. Io ero l’unico Sardo. Il presidente della Commissione invitò con un largo sorriso l’unica donna candidata a scegliere una delle tre buste che lui le porgeva. Così fece la candidata. Con mia grande sorpresa, l’argomento estratto dalle mainine di quella fata fu “Il sostituto di imposta”. Avevamo sei ore per lo svolgimento e la consegna.
Ma dopo neanche due ore tre candidati consegnarono il compito e andarono via, preannunciando che non si sarebbero presentati all’indomani per la seconda prova. Io e i tre baresi consegnammo dopo sei ore, proprio alla fine. Notai che i tre lavoravano in equipe e che i loro sforzi sembravano svolti a favorire la loro collega. Scoprii, dopo avere consegnato, che facevano parte di uno studio specializzato di Bari e un po’ ingenuamente mi confidarono che erano rimasti perché il compito che gli aveva dato il capo studio era quello di aiutare Alessandra (non ricordo il cognome di quella candidata anche se mi pare di ricordare che fosse alquanto carina e che assomigliava, almeno nei miei pensieri e nei miei ricordi, all’attrice Florinda Bolkan).
Mi riposai per tutta la sera. Prima di cena mi diedi una lettura esaustiva delle fotocopie che mi avevano dato all’università di Cagliari. Cenai leggero e me ne andai a dormire molto presto.
L’indomani mattina il presidente disse che la prova odierna sarebbe durata soltanto tre ore e che avremmo dovuto dissertare sulla figura dell’Intendente di Finanza.
Immagini il benevolo lettore che cosa provai io a sentire l’argomento proposto!
Prima di iniziare la prova il presidente ci diede delle schede da compilare; dovevamo elencare i nostri titoli e le lingue conosciute e parlate.
Consegnai il tutto dopo tre ore. Nel consegnare chiesi al presidente se la commissione avrebbe avvisato tutti i candidati in ogni caso. La risposta del presidente fu molto chiara. Disse che dato che i candidati erano rimasti soltanto in quattro, saremmo stati avvisati tutti, sia in caso di superamento degli scritti, sia in caso di mancato superamento. Mentre consegnava la candidata di Bari ricordo ancora le parole che le rivolse il presidente, con quel suo consueto sorriso: “ Mi saluti tanto il prof. Russo!”
Sono sicuro che questo fantomatico prof. Russo con il prosieguo della storia non c’entra niente; ma io ricordo benissimo quel saluto cordiale, anche se solo dopo tanti mesi ne capii l’esatto significato.
Non dico oggi che fossi certo che quel posto sarebbe stato mio; sono stato sempre pessimista di natura (e lo sono ancora). Ma ero certo di avere superato gli scritti; questo sì.
Invece attesi inutilmente la chiamata del segretario della commissione che mi comunicasse l’esito degli scritti (e auspicabilmente anche la data del colloquio).
Quando fui stanco di aspettare telefonai io all’università di Trento.
Mi rispose un funzionario il quale mi informava che il concorso si era chiuso da un pezzo. Chiesi chi lo avesse vinto. Mi rispose cortesemente che lo aveva vinto una certa dottoressa Alessandra nonricordocosa, di Bari”.
Se mi avessero informato di non avere superato gli scritti, avrei sicuramente impugnato gli atti del concorso al TAR (forse a quello del Lazio, competente per materia, dato che si trattava di un concorso nazionale). E questo l’esimio presidente lo aveva messo di sicuro in conto, leggendo i miei titoli. Per cui si guardò bene dall’avvisarmi che non avevo superato neppure gli scritti.
Così, prima ancora di iniziare, finì la mia carriera universitaria.
Recentemente ho letto sulla stampa di uno scandalo scoppiato a causa di alcuni concorsi universitari truccati in diverse discipline, tra cui il diritto tributario. Tra i professori indagati un certo prof. Russo. Sicuramente è un caso di omonimia. Fatta salva comunque la presunzione di innocenza per tutti gli indagati.
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