continua...
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Intanto, in preda a
queste riflessioni, era giunto in vista al recinto dove Rumisu si apprestava a
liberare le sue greggi per condurle al
pascolo. Lo vide, prima anche che sentirlo, raggruppare gli animali, con quei
movimenti e quei richiami che un pastore ripete con la solennità che gli proviene
dall’innato costume a dominare le greggi, ma senza violenza o malanimo, quasi
con amore, come se animali e uomini fossero una sola entità, sacra e da rispettare.
Al contrario del fratello, Rumisu si era
da subito dedicato alla cura delle greggi, con tutta l’anima e con tutto se
stesso. Avevano sposato due sorelle e sua moglie gli aveva già dato due figli, un maschio e una femmina.
«Bentornato, padre!» esclamò
quando fu a portata di voce.
No, Rumisu non c’entrava per niente in quella brutta storia. Era rimasto sorpreso anche lui per il gesto del fratello. Gli aveva letto ancora l’incredulità e la sorpresa nel viso, quando Damasu era fuggito via, e lui finalmente, passato quel drammatico istante, si era reso conto di tutto e si era guardato attorno, per vedere se il pericolo fosse cessato con la fuga del suo mancato assassino.
«Grazie figlio mio. Mi
aiuti a scegliere due caprette da immolare agli dei delle acque per richiedere la guarigione di Elki? Sceglile tra le mie,
naturalmente.»
«Se permettete, padre,
vorrei sceglierne due delle mie. Voglio offrirle io in sacrificio.»
«Sì, certo! Agli dei piaceranno
doppiamente!» assentì con intimo giubilo Itzoccar. «Mandamele con uno dei servi
alla residenza dei sacerdoti, giù al pozzo sacro! »
«Sarà fatto!»
«Vienimi a trovare coi tuoi figli quando
sarai rientrato dai pascoli!»
«Va bene» rispose Rumisu
salutando il padre, che subito si avviò in direzione del pozzo sacro.
continua...
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I
Thirsenoisin
Romanzo
d’amore e di guerra
di
ignazio salvatore basile
Capitolo
1
«Tu devi sposare Arca
Salmàn. Sei stata promessa a lui e lo sposerai!»
Il capo tribù Itzoccar
voltò le spalle a sua figlia Aristea e si dedicò alla vestizione, aiutato da sua
moglie Irisha. In giornata doveva dirimere delle controversie di ultima istanza
e non aveva tempo da perdere. E poi, i suoi ordini non si discutevano. Nessuno
osava metterli in discussione. Discutere un ordine di Itzoccar poteva costare
la vita. Tutti lo sapevano. Era su questo che si reggeva, a memoria d’uomo, il
regno di Kolossoi. Come osava sua figlia, poco più di una bambina, discutere
una decisione già presa da lui?
Aristea queste cose le
sapeva; dalla mamma aveva ereditato il candore e la bellezza ma anche l’intelligenza
istintiva che le consentiva quasi di presagire, con fatalismo tutto femminile,
quello che sarebbe accaduto e come doveva comportarsi. Ma sapeva anche che il suo cuore ribelle e il suo temperamento
volitivo (in questo ne aveva preso da suo padre), l’avevano spinta a chiedere udienza e a
tentare di far prevalere, sulla ragione
di stato, le sue aspirazioni, i suoi sogni.
Aveva appreso da tempo di essere stata promessa in sposa, già sette anni prima, al figlio del capo della tribù di Gisserri, da sempre loro alleata. All’inizio, nel suo animo di bambina neppure decenne, quella notizia aveva avuto il sapore di un racconto fantastico, simile a quelle storie raccontate da sua nonna nelle notti d’inverno, sulle fate tessitrici, le caprette parlanti e le caverne piene d’oro e di tesori. Ma adesso, da donna, il suo cuore le aveva imposto di gridare la sua voglia di libertà, il suo diritto a sognare. Già da qualche tempo aveva preso a fantasticare sulle città che si stendevano sul mare, oltre gli ultimi villaggi nuragici. Era lì che volava la sua fantasia, era lì che voleva recarsi; era lì che voleva incontrare un uomo che la conducesse in mare, sulla sua nave grande, a visitare nuove città e nuovi mondi. Lei non voleva rinchiudersi in un villaggio, magari un po’ più grande del suo, come era Gisserri; ma pur sempre un villaggio. Per ora non aveva potuto fare di più che scappare, piangendo, quando suo padre le aveva voltato le spalle in quel modo altero, freddo e indifferente.
«Lo odio, lo odio, lo
odio!!!» aveva gridato singhiozzando, battendo il pugno sul letto, dove si era
buttata disperata. L’impotenza che sentiva pervadere il suo animo, aumentava di
più la sua rabbia e il suo dolore.
Suo fratello le si
avvicinò e cercò di consolarla, accarezzandole i lunghi capelli castani.
«Coraggio, piccola! C’è
un rimedio a tutto! Fatti coraggio!»
Aristea, sul momento, non si chiese come mai il suo fratello maggiore fosse accorso così prontamente. Certamente lui le voleva bene, era la sua sorella minore e aveva avuto sempre nei suoi confronti un senso di protezione. Ma era pur sempre l’erede al trono; e ci teneva a succedere al padre; di questo lui non aveva fatto mai mistero. Li separavano dieci anni di età; lui, il primogenito, erede al trono, lei l’ultimo frutto dell’amore duraturo tra i suoi genitori; anche se degli altri figli nati in mezzo, solo Rumisu, il terzogenito, era sopravvissuto; tutti gli altri figli, chi per una ragione, chi per l’altra, erano morti nei primi anni di vita.
«Aiutami, Damasu! Io non
voglio sposare Salmàn! Io voglio un altro uomo, scelto da me e non da mio padre!»
disse abbracciandolo. Forse per lei c’era ancora una speranza di salvare i suoi
sogni.
Damasu ordinò alla serva
di andare a preparare un infuso caldo per calmare sua sorella.
«Lo so! So tutto, io!» la
rincuorò Damasu, battendole la mano sulle spalle in modo affettuoso. «Ne parlerò
con il saggio Mandis. Nessuno conosce le nostre leggi più di lui e mi saprà
consigliare.»
«Perché? Perché veniamo
obbligate a sposare un uomo che non amiamo?» gli chiese staccandosi da lui e
fissandolo negli occhi.
«Sono le antiche leggi
del nostro popolo. Ma vedrai che Mandis saprà trovare una via d’uscita» rispose
in maniera sibillina Damasu accommiatandosi dalla sorella. E questo bastò per
alleviarle momentaneamente il cuore che sentiva oscuro e pesante nel suo petto.
...continua...
Quando
firmai per Marcinelle
Non
sapevo neanche che fosse una miniera.
Sapevo
sì, che i miei padri
Avean
perso la guerra
E
io ero solo,
senza
soldi e senza lavoro,
senza
pane, senza una casa.
La
guerra, una volta iniziata,
non finisce mai.
Vedo
che adesso
Costruite
case verso l’alto,
più
alte di mille metri,
a
grattare il cielo!
Ma
voi sapete
Quanto
son lunghi
1037
metri sotto la terra?
Io
si!
Sono
lunghi come
L’inferno di Marcinelle!
Marcinelle
2010
Ancora una grande e gioiosa sorpresa stamattina in Rete. La mia commedia "La Ricreazione è finita" si piazza al diciassettesimo posto della classifica Amazon del Kindle Store (Sezione Teatro e Spettacolo) tra Euripide ed Eschilo, due autentici giganti della drammaturgia classica! Inoltre, sempre su Amazon e per la stessa sezione, ma nella classifica "Libri", la mia commedia si piazza al sessantaduesimo posto, poco dopo Konstantin Stanislaskij (con il suo prezioso Manuale "Il lavoro dell'attore su se stesso" sul quale anche io ho studiato).
Non è la prima volta che questo mio libro finisce nella Classifica Amazon.it Best Seller dei libri a pagamento più letti.
La commedia "La Ricreazione è finita" è stata una delle prime, se non addirittura la prima, che ho scritto per la scuola. Il testo risale infatti agli anni novanta, quando la tecnologia comincia a far parte seriamente nella scuola, attraverso l’ informatizzazione dei processi relazionali e delle strutture tecnologiche. Due sono state però le molle che mi hanno spinto a scriverla; o forse sarebbe più giusto dire che due sono state le scintille che l’hanno accesa nella mia mente.In quegli anni novanta, cominciavo a notare come gli studenti, andassero assumendo degli atteggiamenti collegati alle pubblicità televisive più invasive; tali atteggiamenti e tali posture venivano dagli studenti associati agli slogan che i fantasiosi e creativi pubblicitari italiani coniavano su commissione degli industriali e dei produttori principali, per conquistare fette sempre più consistenti del lucroso mercato consumistico giovanile. I miei studenti, in pratica, pur non essendo le prime vittime, o se preferite, i primi attori, dell’epopea consumistica (esplosa invero sin dagli anni del boom economico presessantottino), erano i primi consumatori a ricevere gli impulsi consumistici in maniera così massiccia dalla televisione. In effetti gli anni novanta vedono in Italia la definitiva affermazione e diffusione delle reti televisive commerciali nate nel precedente decennio. I giovani che in quegli anni novanta sedevano sui banchi delle scuole superiori, evidentemente, passavano tanto, troppo tempo davanti ai televisori; al punto che quegli ossessivi slogan pubblicitari diventavano parte integrante dello sviluppo della loro personalità, al punto da indurli ad utilizzarne quelli più in auge, come parte essenziale e caratterizzante del loro lessico quotidiano. Non è a caso che, qualche anno più tardi si leggerà, in ambito scolastico, una critica tanto amara quanto feroce sui disastri che la televisione, in quanto agenzia educativa, avrà già prodotto sugli adolescenti; anche se occorre rimarcare che più avanti, dopo i secondi lustri del secolo ventunesimo, altri mezzi di comunicazione di massa saranno prescelti dai giovani per la loro formazione e per la loro informazione (mi riferisco ai canali televisivi di internet e alla rete più in generale). La seconda scintilla è costituita dalla burocrazia, dalle oscure circolari, sempre più incomprensibili, prigioniere come erano e come sono, del linguaggio burocratico ministeriale, e dell’onda di informatizzazione che cominciava a propagarsi anche nella scuola.Ma il nocciolo vero del dramma è, a ben vedere, e per entrare nei contenuti narrativi della commedia, un altro: vi si narra in realtà la storia di due fratelli che, dopo l'Armistizio dell'otto settembre del 1943 si trovano su fronti opposti; uno arruolato nell'esercito regio, sotto le insegne del maresciallo Badoglio e de Re; l'altro a Salò, coi repubblichini di Mussolini. Dopo avere scritto la storia ho scoperto che una storia del genere è successa per davvero, tra due fratelli realmente esistiti. Beh, che dire? Tutti sanno che la fantasia, spesso, supera la realtà. Non conosco i dettagli della storia vera ma conosco i dettagli della mia storia. Mio padre Carmelo, quando fu firmato l'Armistizio, l'otto settembre del '43, rimase fedele all'esercito regio, mentre suo fratello Ninì, di qualche anno più giovane, si arruolò nell'esercito repubblichino, seguendo con il suo entusiasmo e i suoi afflati ideali giovanili, quelle sirene di gloria che tanti, troppi giovani (e anche molti italiani meno giovani) seguirono nel ventennio fascista. Ogni epoca ha i suoi idoli e i suoi eroi. Io, per esempio, ero incantato dalle sirene della sinistra e della rivoluzione bolscevica.. Quanti inganni e quante delusioni, dietro quei vessilli rossi di falsa libertà! Ma chi può giudicare davvero i giovani per le loro infatuazioni e i loro ideali fallaci, tanto spesso vissuti con sincero entusiasmo e in buona fede?
I
Lascia che io baci i
tuoi piedi, bambina
Io li amo, lascia che
li baci,
ti prometto: solo i
piedi,
nient’altro,
niente di più che i
tuoi splendidi piedi.
Io li amo.
II
E tu riderai, senza
dirmi perché,
perché questo è
fantastico,
che tu possa ridere
senza che se ne
sappia la ragione;
bevi e fuma ancora un
poco,
vieni, qui staremo
tranquilli
e soli.
III
Oh, maledetto
ungherese bastardo,
vai fuori dalle
balle;
il mondo è così
grande
che io non capisco
come tu non possa
trovare un altro
dannato posto dove stare;
e di più
io capisco il
tedesco;
lo capisco davvero,
sai?,
ed anche se parlassi
un’altra lingua,
ti capirei lo stesso,
perché stanotte io
bacerò i suoi piedi!
Guarda, come sono
belli,
dorati come i suoi capelli,
ed io
li bacerò.
E lei riderà,
come sa ridere
soltanto lei,
e nessuno
saprà il perché.
https://www.amazon.it/dp/B0BNQ7RTGQ
Ricordi,
quando
brillava il sole,
alto
nel cielo
e
i giorni sembravano senza fine,
che
bel tempo abbiamo vissuto insieme?
Ora,
che i giorni si accorciano sempre più,
i
ricordi si adagiano su te sempre più spesso
e
non dimentico quell’ultima carezza che mi hai dato,
prima
di salutare questo mondo,
quasi per chiedere scusa di un addio
che
poneva fine alle tue sofferenze.
Ma
ora non temo più il tramonto,
perché
avvicina il giorno
in
cui ci ritroveremo.
Te acuerdas,
cuando brillava el sol
alto en el cielo
y los dias parecian sin acabo
que buen tiempo tenimos juntos?
Ahora que los dias son siempre
mas cortos
me quedo piensando en ti mas de
sovente
y no me olvido de aquella ultima
caricia
que me hiciste
antes de despedirte de este
mundo,
casi una disculpa por un adios
que ponea fin a tus sufrimientos.
Y no me da miedo el occaso
porque acerca el rencuentro con
tigo.
In Caller, el dia 26 de marzo
2018
Da
mio padre ho cercato di apprendere,
fra
i tanti doni che aveva,
quello
della discrezione
e
quello della dignità!
E
con discrezione e dignità
Anch’io
voglio andarmene
Quando
sarà il mio tempo.
Con
quell’espressione di pace sul viso
E
sulle labbra quel sorriso
Quasi a dire: “Io la mia parte
L’ho fatta! Ora tocca a voi
Fare
la vostra!”
E
voglio lasciare pronti
anche
gli spiccioli in contanti
sì
da non creare imbarazzo
su
chi debba anticipare per le spese
lasciando
alla buona volontà
solo
il dover comandare
per
l’ultimo viaggio.
Quanto
ai talenti di Dio
Che
sono poi la questione principale
Io
sono certo, se mi guardo attorno,
Che
li hai impiegati al meglio;
ma
poiché l’ultima parola è del Padreterno
prego
affinché lo accolga
nella
perpetua gloria
come
vorrei che un dì
altri
preghi per me.
Amen
Se trovate in quei burroni profondi
Che in vita chiamavo foibe,
uno scheletro legato con il fil di ferro
ad un altro
scheletro,
legato ad un
altro scheletro
e a un altro ancora,
quello son’ io.
Non cercatemi in un posto qualunque,
in un fosso o in una buca.
Io giaccio
in quei recessi
contorti
che si chiamano
foibe.
Avvolgetemi, ve ne prego,
in un drappo
bianco
E restituitemi ai miei cari,
alla mia Patria e alle cose di Dio.
Non odio nessuno e
perdono tutti.
Solo un’ultima cosa vi chiedo:
aprite gli occhi dei vostri figli
sulla verità!
Se
c’è qualcuno che sa, parli!
Dica
perché la Madre
è
stata strappata al Figlio…
E
il fratello al fratello….
E
perché bambini senza colpa?
E
vecchi senza tempo?
Perché?
Io,
li vedo ancora,
in
spirito e corpo
fluttuare
attraverso i comignoli
e
salutarci, con un sorriso pietoso.
Io,
odo ancora latrati e voci
spaventano,
disperdono,
recidono
legami e affetti
che non vedremo mai più.
Io,
sento
la
vergogna di essere uomo!
E
la paura di vivere e di amare!
Ma
perché,
se
perfino Gesù Cristo,
dalla
Croce,
ci
aveva già perdonati!
Perché?
Perché?
Parlate,
voi che potete! Voi che sapete!
Parlate!
Io
prometto che parlerò…
Per
non dimenticare.
Cagliari,
27 gennaio 2001