mercoledì 31 luglio 2024

Diario Castellano

 


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Gabiota de la tarde

 

Mirando una gabiota

Voltear alegre en el cielo

Me pregunto porque el ombre

Sea asì desafortunado

De solo poder imaginar

De solo poder pensar

De sempre deber refleccionar

Acerca de sus diarias actividades

Tal que nunca pueda

Abandonarse al viento

Y viajar, y volar……

-¿“Donde vas, gabiota de la tarde?”

- “¿ Donde estan tus padres? ¿Y tus amigos?”

Que te importa a tigo

De los negocios

Y de las falsidades

Que los hombres se inventan

Para ocupar los dias?

Es certo que tu sabes

Donde descansar la noche

Y maňana

Al almanecer

No te harà cansancio

Levantarte otra vez

A dibujar el aire

Con tus libres fantasias!

                                                                                              Santa Lucia 1982

sabato 20 luglio 2024

Diario Castellano

 


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Mi Mantra

Mi mantra me lleva lejos

fuera de las diarias fronteras

del espacio físico circundante:

y me parece tan diferente y engañosa

la concepción ancestral del mundo,

cuando la mente se establece

en puntos indistintos sin forma y sin  color

ahora ahogando en ellos, felizmente inconsciente,

y persiguendo las golondrinas

a lo largo de los pasillos de sonido

que ellas trazan por  el aire,

perdido en sus  cantos

que nada explican al intelecto humano

y  todavía aligeran su mente inquieta!

Y mientras el mundo recupera sus formas habituales,

una duda resurge lentamente a la superficie:

si no fuera mejor para nosotros descubrir

cómo estamos conectados a la naturaleza

antes de buscar nuevos mundos,

remotos y distantes!

En Cerdeña 1985

giovedì 11 luglio 2024

Il Manuale del perfetto orologiaio

 



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Capitolo Primo

 

Le spie della Congregazione, in un dettagliato dispaccio, avevano informato il vice legato di Ferrara, Francesco Pasini Frassoni, che  Pietro Marino De Regis, noto il Carminate,  con la complicità di altri membri dell’Accademia degli Increduli,  stava scrivendo un libro che propagandava le idee rivoluzionarie diffuse  da Copernico nel libro proibito “De Revolutionibus Orbium Celestium”, messo all’Indice sin dal 1616.

L’alto prelato,  che surrogava il titolare Giovanni Garzia Mellini, nominato da  papa Gregorio XV come  successore di Pietro Aldobrandini, per fare le sue veci  a Ferrara, pensò bene di mettersi   subito in contatto con  il cardinale suo diretto superiore, quantomeno per una duplice ragione.

In primis perché il cardinale era il capo della Congregazione per la difesa della Fede e quindi non voleva rischiare che l’importante notizia  gli arrivasse da altri; in secundis egli voleva sapere da  Sua Eminenza come procedere, dandogli conferma così della sua fedeltà e della subordinazione, quantomeno formale. Conosceva inoltre assai bene le mire del grande porporato e già circolavano voci sulla salute precaria di papa Ludovisi. Una sua elevazione al soglio pontificio avrebbe significato per lui un sicuro avanzamento nella carriera ecclesiastica; forse la titolarità della legazione vacante e, in prospettiva, anche una investitura da  porporato.

E nella peggiore delle ipotesi, se fosse riuscito a far incriminare il De Regis, poteva pur sempre contare nella confisca delle sue lucrose proprietà, accresciutesi dopo la morte della madre e del patrigno, tra cui gli stava particolarmente a cuore la cascina di Lemole, in Greve di Chianti, che avrebbe potuto così unire a una piccola proprietà limitrofa ereditata dai suoi avi, senza contare la rendita di 20.000 scudi d’oro che essa rendeva all’anno all’eretico Carminate.

Originario di una famiglia che vantava in passato ricche ascendenze, ma al presente, scarsi mezzi economici e finanziari, Pasini Frassoni aveva studiato grazie al generoso interessamento di uno zio materno, anch’egli prelato, ben addentro nelle gerarchie della curia pontificia.

Grazie agli intrallazzi e ai soldi dello zio, era giunto al grado di Consigliere della Segnatura Apostolica, ma lì si era reso conto che l’ascesa al potere vero era per lui troppo arduo. Entrato nelle grazie del potente cardinale Garzia Mellini, era stato nominato vice legato a Ferrara, ma la sua ambizione lo faceva puntare molto più in alto.

Intanto approfittava di ogni buona occasione per incrementare il patrimonio che i suoi avi avevano dissolto per incapacità e per sfortuna. 

La primavera aveva già scacciato da un pezzo uno dei più rigidi inverni degli ultimi vent’anni (tutti i ferraresi, a memoria d’uomo,  non ricordavano di aver visto  il Po ghiacciato prima di allora), quando il vice legato scelse il più sveglio e il più giovane tra i suoi collaboratori e lo inviò a Roma dal cardinale Garzia Mellini per informarlo di quanto le spie locali della Congregazione gli avevano riportato.

«Mi avete fatto chiamare eccellenza?», chiese don Giuseppe Canaselli, dopo che ebbe udito la voce del suo superiore invitarlo ad entrare.

«Certo, certo, vieni avanti», disse il vice legato sollevando gli occhi dalle carte che stava esaminando.

Il giovane prelato si avvicinò timidamente al tavolo da lavoro dell’importante delegato. Lo aveva scelto come suo secondo segretario per la sua discrezione, che sconfinava nella timidezza, ma soprattutto per la sua prodigiosa memoria, che lo aveva colpito al tempo in cui era stato suo insegnante di greco e latino.

«Siediti», gli disse indicandogli una delle sedie che stavano davanti a lui. «Vuoi bere qualcosa?», aggiunse dopo che il giovane si fu seduto sul bordo della sedia, con gli occhi bassi sulle mani che aveva posato in grembo.

«No, grazie, eccellenza. Io non bevo».

E infatti il suo incarnato era alquanto pallido, pensò Pasini Frassoni. Si lisciò prima il mento e poi la gola, sin dove il colletto rigido dell’abito talare glielo permisero. La nostra chiesa si regge sui sacrifici e sulla rettitudine di questi giovani, pensò ancora con cuore grato l’alto prelato. Poi intrecciò le mani grassocce sul prominente girovita.

«Sei mai stato a Roma?», chiese abbandonandosi nella sua comoda poltrona.

«Una volta, da ragazzo, accompagnai mio padre e mio zio che si recavano da un ricco committente per una pala d’altare».

Ricordava che il giovane discendeva da una famiglia di rinomati pittori. Ma la sua intelligenza e la sua natura riflessiva lo avevano attratto nell’orbita della madre chiesa; tanto più che la bottega dei parenti pittori era stata riempita a sufficienza con i fratelli e i cugini nati prima di lui.

«E la strada te la ricordi?»

«Non tanto per la verità. Ricordo però che si partì più o meno in questa stagione. In altri periodi dell’anno le strade dissestate rallentano di parecchio l’andatura delle carrozze».

«Ho un’importante ambasciata per te; da portare a Roma, e da riferire personalmente al cardinale Giovanni Garzia Mellini. Te la senti?»

«Comandate pure eccellenza», disse sempre con gli occhi bassi il giovane chierico.

Così, a metà maggio, Giuseppe Canaselli partì per la delicata ambasciata. E a inizio giugno era già di ritorno.

Insieme alle istruzioni del cardinale riportò la notizia che le condizioni di salute del papa Gregorio XV si erano aggravate e che i cerusici di corte pensavano che il peggio fosse ormai inevitabile. Pertanto i grandi elettori, seppure in via informale, avevano di già iniziato le grandi manovre che precedevano il Conclave ormai imminente.

 A maggior ragione occorreva che il cardinale papabile agisse con prudenza e con sagacia. Sia queste informazioni, sia le dettagliate istruzioni che riguardavano il caso gravissimo della Nuova Accademia degli Increduli, erano state impartite  al giovane chierico,  di rientro da  Roma, totalmente in forma verbale.   E meno male che egli godeva di una memoria prodigiosa (affinatasi nello studio dei  classici e della grammatica della  lingua greca in particolare),  perché le istruzioni che gli erano state dettate a voce dal cardinale medesimo, erano assai minuziose e andavano riferite al vice legato tali e quali.

Il vice legato capì, ancor prima di apprenderne il contenuto, che si trattava di questioni riservatissime (le istruzioni collegate al suo ufficio di vice legato giungevano solitamente  per iscritto).

Dal contenuto delle istruzioni ebbe inoltre conferma che il suo diretto superiore contava sull’appoggio della Spagna per la scalata al soglio pontificio (anche se personalmente non escludeva che lo scaltro porporato tramasse nascostamente per assicurarsi anche qualche voto dalla Francia).

Il cardinale lo informava che doveva giungere   a Ferrara un suo emissario, un abile hidalgo spagnolo specializzato nelle indagini e negli interrogatori degli eretici e che contava su di lui per fornire al militare ispanico tutti i mezzi necessari per espletare il suo incarico, senza che mai, per alcun motivo, dovesse figurare il suo nome.

Ma ad agosto, quando giunse a Ferrara la notizia della elezione di Maffeo Virginio Romolo Barberini al soglio pontifico, con il nome di Urbano VIII, dell’hidalgo spagnolo preannunciato,   Pasini Frassoni non aveva visto neppure l’ombra.

Non poteva certo sapere che don Pedro Domingo Mendoza Martinez, accompagnato dal suo fido Tenoch Tixtlancruz e da Padre Alonso Ramirez de Barranquilla, S.J.,  sarebbe giunto  a Ferrara soltanto a settembre dell’anno 1623 già  inoltrato.

 

 

 

 

 

mercoledì 19 giugno 2024

Alla fine di tutto

 


"Alla fine fine di tutto" è il titolo di un romanzo  di Franco Ignazio Sibiriu.

La storia  ha una struttura alquanto originale e, trattandosi di un'opera prima, questo non è necessariamente un difetto ma potrebbe trasformarsi  facilmente in  un pregio. 

Il romanzo di Sibiriu si sviluppa su due direttrici principali che il lettore può davvero chiamare come vuole: il bene e il male, il bianco e il nero, l'alfa e l'omega dell'universo mondo.

Le due direttrici si intersecano a formare un filo narrativo unico, in un crescendo di appassionante tensione che dura 115 anni: dal 2023 al 2138.

La vicenda ruota attorno a un perno narrativo principale: l'estinzione imminente del mondo, sia come genere umano, sia come entità astrofisica.

Tuttavia nel racconto che ne fa l'Autore possiamo cogliere anche degli aspetti positivi, delle note ottimistiche che riscattano il genere umano.

Ma partiamo dall'inizio. Il genere umano è condannato all'estinzione per due cause principali: una endogena, legata alla stupidità dell'uomo (qui non voglio svelare altro sennò vi rovino la sorpresa e il piacere di leggere); la seconda è di natura esogena (anche qui non voglio svelare troppo). Tuttavia, questa minaccia esterna induce gli Stati della Terra a unirsi finalmente in una fratellanza universale capace di contrastare la minaccia.  

Per uno che come me ha sempre sognato, sin da ragazzo, la fratellanza universale tra tutti i popoli, questo è un tema davvero importante.

Ma io mi chiedo e vi chiedo: davvero c'è bisogno che il mondo sia esposto a una terribile minaccia perché i popoli si uniscano per  formare una forza comune che li faccia sentire definitivamente fratelli?

Ma ritorniamo al libro di Farnco Ignazio Sibiriu "Al di là di tutto": riuscirà l'uomo a salvare la terra da questo esiziale pericolo?

Se volete saperlo e se sono riuscito a incuriosirvi, attraverso il link sottostante, con un semplice click, sarà per voi facile scoprirlo. Il libro è comunque disponibile su tutte le piattaforme e si può ordinare anche nelle librerie. Buona lettura a tutti.


https://www.lafeltrinelli.it/alla-fine-di-tutto-ebook-franco-ignazio-sibiriu/e/9791222703329


giovedì 18 aprile 2024

Recuerdos de un italiano en Londres

 



 

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Advertencia

Cuando yo regresè de mi viajes en America  hablava un castellano muy pobre y essencial, nada especial; “un estilo tipico de un  camarero”,  me dijo una vez una tia que tenia cursos para gente que queria hablar con elegancia el primero idioma europeo y americano.

Me dì cuenta de que yo habia aprendido los fondamentos rudimentarios del lenguaje querido, con mi abuelita, una viuda que en su vida nunca habia estudiado el Italiano, con quien había pasado largas horas de invierno, hablando al calor de la chimenea de mi casa paterna cuando, en esos identicos dias de mi regreso a Italia, encontrando un Sardo yo le contestaba a sus preguntas en nuestro idioma isolano, con una mescla de sardo y castellano.

Por otro lado, también es cierto que mi tierra ha estado sujeta a influencias ibéricas (ambas catalanas y castellanas),  durante más de cuatro siglos, mientras que la familia Saboya se asentó en Cagliari y el resto de la isla recién en 1720.

Entonces me decidì a escribir esta historia en castellano como homenaje a mi raices antiguas, a pesar de mi limitaciones y de la probeza de mi lengua.

Así que discúlpenme los elegantes amantes del idioma español si decidí escribir mi historia como la viví: en las calles de Londres.

Como última palabra quiero decirles a los lectores que he dejado los títulos de los capítulos en inglés porque saqué esta versión de aquel original.

 

 

 

 

 

Prólogo

Mi primera vez en Londres fue en el 1977. Hace mucho tiempo. Aún recuerdo el día en que aterricé en el aeropuerto de Heathrow. Fue quando  murió Elvis Presley. Recuerdo desde mi autobús, en el interminable camino de una sola dirección que me conduciría a la estación Victoria (según el  boleto de mi autobús), la marcha de los seguidores en honor del cantante  de Memphis. Tenían en sus manos signos de su ídolo: "Elvis nunca morirá" o "Elvis para siempre", "Todavía vives en nuestros corazones" y cosas por el estilo.

No había sido realmente muy aficionado a Elvis; seguramente mucho más a  Jimmy Hendrix.

 Elvis era un mito demasiado controvertido a mis ojos; un gran cantante, por supuesto, no diría que no.

Pero a veces me sentía como si hubiera sido explotado por la industria exitosa estadounidense; ese tipo de negocio capaz de crear (y también destruir, si ellos lo quisieran) cualquier tipo de mito, cualquier tipo de estrella; '¿ya sabes? Esa clase de víctima del star system americano  como Marilyn Monroe o James Dean.

Yo era bastante crítico del capitalismo en ese momento. Pero, de hecho, ya tenía demasiados problemas por mi cuenta para criticar cualquiera cosa.

Entonces Yo era un joven lleno de esperanza y pena. Iba a Londres a olvidar un amor no correspondido; o tal vez solo estaba buscando algo que aún no había encontrado.

Había abandonado los estudios de mi universidad, sin dinero, sin trabajo, sin amor. Solo como una piedra sola puede ser.

 

 

 

sabato 10 febbraio 2024

In ricordo delle foibe

 



L'Appello dell'infoibato 

Se trovate in un burrone profondo

uno scheletro legato con il fil di ferro

 a un altro scheletro,

 legato a un altro scheletro

e a un altro ancora,

quello sono io.

 

Non cercatemi in un fosso qualunque!

Io giaccio

 in quei recessi contorti

che si chiamano foibe.

 

Avvolgetemi, ve ne prego,

 in un drappo bianco

E restituitemi ai miei cari,

alla mia Patria e alle cose di Dio.

 

Non odio nessuno e perdono tutti.

 

Solo un’ultima cosa vi chiedo:

aprite gli occhi dei vostri figli

sulla verità!

sabato 6 gennaio 2024

I Re Magi e L'Epifania

 

I Re Magi

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Avvenne un dì che il re di Palestina, 

Eróde, saputo che dall’oriènte,

eran partiti di  buona mattina

 

tre re, tra i più ricchi  e pronti di  ménte,

che avean patito quéi tanti disagi,

per vedere il sovrano più potènte,

 

chiamò segretamente a sé quei Magi

e  féce  dire  lor con esattezza,

quando della lucente  stella i raggi

 

in éssi avesser mossa l’accortézza,

avendo il re avuto turbamento,

che  secondo ‘l vedessero in grandezza!

 

E appreso che il Sant’Avvenimento

luogo doveva avere  in Betlemme, 

ve li inviò nón sènza avvertiménto

 

che vistoLo, tosto in Gerusalemme

solo a lui riportassero la nuova,

affinché égli, lèsto, non già lèmme,

 

andasse ad adorarlo nell’alcòva!

Udito ciò andarono i Persiani,

éd ècco comparire in ciel la pròva

 

dél luògo óve il Padre déi Cristiani,

in fasce e cón la Madre si trovavano!

E i Magi quegli scrigni nélle mani,

 

in cui òro, incènso e mirra istavano,

donarono a quel Re  in adorazióne,

méntre che déntro all’anima provavano

 

una gran giòia  a quell’apparizióne

di ridondante e fulgido splendóre! 

Infine  pér diversa direzióne,

 

cóme gli suggerì ‘l sógno latóre, 

fécero ritórno al loro Paése,

e sènza ripassar dal mentitóre

 

 che,   passati due anni in vani attése,

  immaginando vana la sua fròde,

e risentito per le sue pretése,

 

che di lui s’avésse maggiore lòde 

e glòria, senza capire che ‘l regno 

dél Messïa nón era in terra, Erode

 

 diede ordine con un decreto indegno,

che i bimbi di   in Betlèmme di Giudèa,

fino a due anni avesser morte in pegno!

 

Pér la qual còsa, ancor sèrba nomea!

Intanto il Signóre Iddio in difésa

Dél Santo Suo Figliuòlo, in sógno avea

 

Mandato a  Giuseppe un Angiol, che présa

La Madre e préso il Figlio se ne andò 

In Egitto e soltanto dopo attesa

 

la mòrte del   tiranno ritornò!

sabato 7 ottobre 2023

Il popolo delle torri - 3

 




Le capanne occupate dai sacerdoti si estendevano tutt’attorno al pozzo sacro, come per proteggere il regno degli dei delle acque. Lì era stato sistemato il fido amico Elki. Chissà come aveva trascorso la notte, l’uomo che gli aveva salvato la vita. Sua moglie era certo che quel gesto di protezione era stato premeditato dal grande sacerdote. Non aveva saputo o voluto predisporre alcun’altra difesa contro quel parricidio annunciato; per paura che allertando le guardie coinvolte nel complotto, i traditori potessero essere messi sul chi vive e magari decidere una modalità più complessa per il loro sanguinario piano. Elki aveva valutato e voluto il vantaggio della sorpresa che i suoi dei gli avevano offerto; e l’aveva sfruttato, a rischio però della sua stessa vita. In cuor suo fu grato all’amico e al sacerdote che aveva rischiato la sua vita per lui. «Gli dei danno e gli dei prendono», pensò ancora. Per un uomo che lo voleva morto, c’e n’era stato un altro che lo aveva salvato dalla morte. Solo che il primo era suo figlio! Quel pensiero sembrò afferrargli il cuore e strizzarlo sino ad espungervi tutto il sangue, in uno stillicidio infinito. Sarebbe mai guarito da quell’afflizione?

Ma adesso occorreva reagire! E subito!

Ci sarebbe stato tempo per piangere, dopo!

Adesso doveva stanare tutti i traditori che si celavano nel villaggio.Damasu non poteva aver agito da solo. Non era un pazzo. Gli venne in mente che in quel terribile istante, in cui lui lo aveva colto, subito dopo il gesto omicida, per una frazione di secondo suo figlio aveva indugiato con lo sguardo rivolto alla folla, come se si aspettasse un aiuto concreto, un sostegno, un intervento in suo favore. A chi aveva rivolto suo figlio Damasu quello sguardo che cercava soccorso? Evidentemente egli sapeva che in mezzo alla folla c’erano delle persone che stavano dalla sua parte; ma queste persone chi erano? E perché non erano intervenute in aiuto di Damasu?

continua...

sabato 30 settembre 2023

Il popolo delle Torri - 2




 https://albixandpoetry.wordpress.com/2023/09/30/i-thirsenoisin-5/

Intanto, in preda a queste riflessioni, era giunto in vista al recinto dove Rumisu si apprestava a liberare  le sue greggi per condurle al pascolo. Lo vide, prima anche che sentirlo, raggruppare gli animali, con quei movimenti e quei richiami che un pastore ripete con la solennità che gli proviene dall’innato costume a dominare le greggi, ma senza violenza o malanimo, quasi con amore, come se animali e uomini fossero una sola entità, sacra e da rispettare. Al contrario del fratello,  Rumisu si era da subito dedicato alla cura delle greggi, con tutta l’anima e con tutto se stesso. Avevano sposato due sorelle e sua moglie gli  aveva già dato due figli, un maschio e una femmina.

«Bentornato, padre!» esclamò quando fu a portata di voce.

No, Rumisu non c’entrava per niente in quella brutta storia. Era rimasto sorpreso anche lui per il gesto del fratello. Gli aveva letto ancora  l’incredulità e la sorpresa nel viso, quando Damasu era fuggito via, e lui finalmente, passato quel drammatico istante, si era reso conto di tutto e si era guardato attorno, per vedere se il pericolo fosse cessato con la fuga del suo mancato assassino.

«Grazie figlio mio. Mi aiuti a scegliere due caprette da immolare agli dei delle acque per richiedere  la guarigione di Elki? Sceglile tra le mie, naturalmente.»

«Se permettete, padre, vorrei sceglierne due delle mie. Voglio offrirle io in sacrificio.»

«Sì, certo! Agli dei piaceranno doppiamente!» assentì con intimo giubilo Itzoccar. «Mandamele con uno dei servi alla residenza dei sacerdoti, giù al pozzo sacro! »

«Sarà fatto!»

«Vienimi a trovare coi tuoi figli quando sarai rientrato dai pascoli!»

«Va bene» rispose Rumisu salutando il padre, che subito si avviò in direzione del pozzo sacro.

continua...


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giovedì 10 agosto 2023

Il popolo delle torri - 1

 


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I Thirsenoisin

Romanzo d’amore e di guerra

di ignazio salvatore basile

Capitolo 1

 

«Tu devi sposare Arca Salmàn. Sei stata promessa a lui e lo sposerai!»

Il capo tribù Itzoccar voltò le spalle a sua figlia Aristea e si dedicò alla vestizione, aiutato da sua moglie Irisha. In giornata doveva dirimere delle controversie di ultima istanza e non aveva tempo da perdere. E poi, i suoi ordini non si discutevano. Nessuno osava metterli in discussione. Discutere un ordine di Itzoccar poteva costare la vita. Tutti lo sapevano. Era su questo che si reggeva, a memoria d’uomo, il regno di Kolossoi. Come osava sua figlia, poco più di una bambina, discutere una decisione già presa da lui?

Aristea queste cose le sapeva; dalla mamma aveva ereditato il candore e la bellezza ma anche l’intelligenza istintiva che le consentiva quasi di presagire, con fatalismo tutto femminile, quello che sarebbe accaduto e come doveva comportarsi.  Ma sapeva anche che  il suo cuore ribelle e il suo temperamento volitivo (in questo ne aveva preso da suo padre),  l’avevano spinta a chiedere udienza e a tentare di far prevalere,  sulla ragione di stato, le sue aspirazioni, i suoi sogni.

 Aveva appreso da tempo di essere stata promessa in sposa, già sette anni prima, al figlio del capo della tribù di Gisserri,  da sempre loro alleata. All’inizio, nel suo animo di bambina neppure decenne, quella notizia aveva avuto il sapore di un racconto fantastico, simile a quelle storie raccontate da sua nonna nelle notti d’inverno, sulle fate tessitrici, le caprette parlanti e le caverne piene d’oro e di tesori. Ma adesso, da donna, il suo cuore le aveva imposto di gridare la sua voglia di libertà, il suo diritto a sognare. Già da qualche tempo aveva preso a fantasticare sulle città che si stendevano sul mare, oltre gli ultimi villaggi nuragici. Era lì che volava la sua fantasia, era lì che voleva recarsi; era lì che voleva incontrare un uomo che la conducesse in mare, sulla sua nave grande, a visitare nuove città e nuovi mondi. Lei non voleva rinchiudersi in un villaggio, magari un po’ più grande del suo, come era Gisserri; ma pur sempre un villaggio.  Per ora non aveva potuto fare di più che scappare, piangendo, quando suo padre le aveva voltato le spalle in quel modo altero, freddo e indifferente.

«Lo odio, lo odio, lo odio!!!» aveva gridato singhiozzando, battendo il pugno sul letto, dove si era buttata disperata. L’impotenza che sentiva pervadere il suo animo, aumentava di più la sua rabbia e il suo dolore.

Suo fratello le si avvicinò e cercò di consolarla, accarezzandole i lunghi capelli castani.

«Coraggio, piccola! C’è un rimedio a tutto! Fatti coraggio!»

Aristea, sul momento, non si chiese come mai il suo fratello maggiore fosse accorso così prontamente. Certamente lui le voleva bene, era la sua sorella minore e aveva avuto sempre nei suoi confronti un senso di protezione. Ma era pur sempre l’erede al trono; e ci teneva a succedere al padre; di questo lui non aveva fatto mai mistero.  Li separavano dieci anni di età; lui, il primogenito, erede al trono, lei l’ultimo frutto dell’amore duraturo tra i suoi genitori; anche se degli altri figli nati in mezzo, solo Rumisu, il terzogenito, era sopravvissuto; tutti gli altri figli, chi per una ragione, chi per l’altra, erano morti nei primi anni di vita.

«Aiutami, Damasu! Io non voglio sposare Salmàn! Io voglio un altro uomo, scelto da me e non da mio padre!» disse abbracciandolo. Forse per lei c’era ancora una speranza di salvare i suoi sogni.

Damasu ordinò alla serva di andare a preparare un infuso caldo per calmare sua sorella.

«Lo so! So tutto, io!» la rincuorò Damasu, battendole la mano sulle spalle in modo affettuoso. «Ne parlerò con il saggio Mandis. Nessuno conosce le nostre leggi più di lui e mi saprà consigliare.»

«Perché? Perché veniamo obbligate a sposare un uomo che non amiamo?» gli chiese staccandosi da lui e fissandolo negli occhi.

«Sono le antiche leggi del nostro popolo. Ma vedrai che Mandis saprà trovare una via d’uscita» rispose in maniera sibillina Damasu accommiatandosi dalla sorella. E questo bastò per alleviarle momentaneamente il cuore che sentiva oscuro e pesante nel suo petto.

...continua...

martedì 8 agosto 2023

L'Inferno di Marcinelle

 


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Quando firmai per Marcinelle

Non sapevo neanche che fosse una miniera.

Sapevo sì, che i miei padri

Avean perso la guerra

E io ero solo,

senza soldi e senza lavoro,

senza pane, senza una casa.

La guerra, una volta iniziata,

 non finisce mai.

Vedo che adesso

Costruite case verso l’alto,

più alte di mille metri,

a grattare il cielo!

Ma voi sapete

Quanto son lunghi

1037 metri sotto la terra?

Io si!

Sono lunghi come

L’inferno di Marcinelle!

Marcinelle 2010

martedì 27 giugno 2023

Vi annuncio ancora una grande gioia

 





Ancora una grande e gioiosa sorpresa stamattina in Rete. La mia commedia "La Ricreazione è finita" si piazza al diciassettesimo posto della classifica Amazon del Kindle Store (Sezione Teatro e Spettacolo) tra Euripide ed Eschilo, due autentici giganti della drammaturgia classica! Inoltre, sempre su Amazon e per la stessa sezione, ma nella classifica "Libri", la mia commedia si piazza al sessantaduesimo posto, poco dopo Konstantin Stanislaskij (con il suo prezioso Manuale "Il lavoro dell'attore su se stesso" sul quale anche io ho studiato).

Non è la prima volta che questo mio libro finisce nella Classifica Amazon.it Best Seller dei libri a pagamento più letti.

La commedia "La Ricreazione è finita" è stata una delle prime, se non addirittura la prima, che ho scritto per la scuola. Il testo risale infatti agli anni novanta, quando la tecnologia comincia a far parte seriamente nella scuola, attraverso l’ informatizzazione dei processi relazionali e delle strutture tecnologiche. Due sono state però le molle che mi hanno spinto a scriverla; o forse sarebbe più giusto dire che due sono state le scintille che l’hanno accesa nella mia mente.In quegli anni novanta, cominciavo a notare come gli studenti, andassero assumendo degli atteggiamenti collegati alle pubblicità televisive più invasive; tali atteggiamenti e tali posture venivano dagli studenti associati agli slogan che i fantasiosi e creativi pubblicitari italiani coniavano su commissione degli industriali e dei produttori principali, per conquistare fette sempre più consistenti del lucroso mercato consumistico giovanile. I miei studenti, in pratica, pur non essendo le prime vittime, o se preferite, i primi attori, dell’epopea consumistica (esplosa invero sin dagli anni del boom economico presessantottino), erano i primi consumatori a ricevere gli impulsi consumistici in maniera così massiccia dalla televisione. In effetti gli anni novanta vedono in Italia la definitiva affermazione e diffusione delle reti televisive commerciali nate nel precedente decennio. I giovani che in quegli anni novanta sedevano sui banchi delle scuole superiori, evidentemente, passavano tanto, troppo tempo davanti ai televisori; al punto che quegli ossessivi slogan pubblicitari diventavano parte integrante dello sviluppo della loro personalità, al punto da indurli ad utilizzarne quelli più in auge, come parte essenziale e caratterizzante del loro lessico quotidiano. Non è a caso che, qualche anno più tardi si leggerà, in ambito scolastico, una critica tanto amara quanto feroce sui disastri che la televisione, in quanto agenzia educativa, avrà già prodotto sugli adolescenti; anche se occorre rimarcare che più avanti, dopo i secondi lustri del secolo ventunesimo, altri mezzi di comunicazione di massa saranno prescelti dai giovani per la loro formazione e per la loro informazione (mi riferisco ai canali televisivi di internet e alla rete più in generale). La seconda scintilla è costituita dalla burocrazia, dalle oscure circolari, sempre più incomprensibili, prigioniere come erano e come sono, del linguaggio burocratico ministeriale, e dell’onda di informatizzazione che cominciava a propagarsi anche nella scuola.Ma il nocciolo vero del dramma è, a ben vedere, e per entrare nei contenuti narrativi della commedia, un altro: vi si narra in realtà la storia di due fratelli che, dopo l'Armistizio dell'otto settembre del 1943 si trovano su fronti opposti; uno arruolato nell'esercito regio, sotto le insegne del maresciallo Badoglio e de Re; l'altro a Salò, coi repubblichini di Mussolini. Dopo avere scritto la storia ho scoperto che una storia del genere è successa per davvero, tra due fratelli realmente esistiti. Beh, che dire? Tutti sanno che la fantasia, spesso, supera la realtà. Non conosco i dettagli della storia vera ma conosco i dettagli della mia storia. Mio padre Carmelo, quando fu firmato l'Armistizio, l'otto settembre del '43, rimase fedele all'esercito regio, mentre suo fratello Ninì, di qualche anno più giovane, si arruolò nell'esercito repubblichino, seguendo con il suo entusiasmo e i suoi afflati ideali giovanili, quelle sirene di gloria che tanti, troppi giovani (e anche molti italiani meno giovani) seguirono nel ventennio fascista. Ogni epoca ha i suoi idoli e i suoi eroi. Io, per esempio, ero incantato dalle sirene della sinistra e della rivoluzione bolscevica.. Quanti inganni e quante delusioni, dietro quei vessilli rossi di falsa libertà! Ma chi può giudicare davvero i giovani per le loro infatuazioni e i loro ideali fallaci, tanto spesso vissuti con sincero entusiasmo e in buona fede?